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VIBO VALENTIA – Blackout money 2: continua l’offensiva della Dda di Catanzaro contro la cosca Mancuso. Ancora una volta Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza sono scesi insieme in campo per eseguire 38 arresti nella provincia di Vibo Valentia. In tasca anche in provvedimento corposo di sequestri di beni per un valore di decine di milioni di euro, sfociato dall’attività investigative coordinate dal procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Giuseppe Borrelli. Quella portata a termine oggi è l’unificazione di distinte attività investigative portate a termine dalle forze dell’ordine e unificate in un unico blitz (Operazioni denominate Purgatorio e Overseas).

Dopo il blitz messo a segno attraverso l’operazione Black money, infatti, le indagini hanno ora chiuso il cerchio dal punto di vista fiscale, essendo emerso il pressoché totale controllo da parte della cosca Mancuso di Limbadi di rinomate strutture residenziali e turistiche della costa vibonese. Da lì la strada investigativa che ha portato gli inquirenti (i pm Marisa Manzini, Simona Rossi e Pier Paolo Bruni) ad ipotizzare il riciclaggio dei capitali illeciti, in tal modo maturati, con un sofisticato sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello “scudo fiscale”. 

EVASIONE FISCALE. Trenta milioni: a tanto ammonta l’imponibile sottratto al fisco con un’evasione di imposta di 14 milioni, accertato dai finanzieri del Gico di Catanzaro nell’ambito di uno dei filoni di inchiesta confluiti nell’operazione condotta stamani insieme a carabinieri e polizia contro la cosca Mancuso di Limbadi. Un’evasione che sarebbe stata possibile dal connubio tra personaggi legati alla cosca Mancuso, tra i quali l’appartenente all’Ira, l’organizzazione terroristica per l’indipendenza irlandese, Henry James Fitzsimons, ed il campano Antonio Velardo, già coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ‘Metropolis’ del 5 marzo scorso, e Antonio Maccarone, ritenuto dagli investigatori il «volto imprenditoriale» dei Mancuso, ed alcuni commercialisti, due dei quali, Ercole Antonio Palasciano e Giuseppe Ierace, molto noti a Catanzaro. Per i commercialisti l’accusa contestata è associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale ed al riciclaggio. Dalle indagini condotte dal Gico, infatti, non sono emersi collegamenti o vicinanze personali tra loro e ambienti evidenti della criminalità organizzata. L’attività dei commercialisti, secondo l’accusa, sarebbe stata fondamentale per la costituzione di società fittiziamente residenti all’estero ma in realtà operanti a pieno titolo in Italia e che avrebbero concretizzato la frode fiscale internazionale tramite «estero vestizione». Nel momento dell’arresto, Palasciano ha avuto un malore ed è stato portato in ospedale per accertamenti. Subito dopo i controlli dei medici è stato condotto in carcere. 

Dal filone condotto dalla squadra mobile, invece, sono emersi numerosi episodi di usura ai danni di imprenditori delle province di Vibo Valentia e Catanzaro ai quali venivano imposti tassi calcolati al 120% annuo a fronte di somme di danaro prestate in fase di difficoltà economiche delle attività di cui erano proprietari. Il provento dell’usura, secondo l’accusa, costituiva una forma di reinvestimento di capitali riconducibili ad esponenti di spicco della famiglia Mancuso, in particolare a Giovanni Mancuso, indicato come una «figura carismatica» all’interno della cosca. 

 SEQUESTRO BENI. Nell’ambito dell’operazione sono stati sequestrati beni per un valore di 40 milioni circa, tra i quali una società che organizza e gestisce spettacoli ed eventi a carattere nazionale, la CaMo. L’operazione è la sintesi di tre inchieste condotte dai carabinieri del Ros, dai finanzieri del Gico e dalla squadra mobile di Catanzaro e rappresenta il seguito di quella condotta alcune settimane fa sempre contro la cosca Mancuso. Tra gli arrestati del Ros figurano i due imprenditori titolari della CaMo, Nicolangelo Castagna e Filippo Mondella, accusati di concorso in trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle modalità mafiose dal momento che la società, secondo l’accusa, era riconducibile ad uno dei boss della cosca Mancuso, Giuseppe. Il filone investigativo seguito dalla Guardia di finanza, invece ha riguardato una maxi evasione fiscale con conseguente attività di riciclaggio a livello internazionale grazie anche ad operazioni cosiddette di «eurovestizione». Si tratta di uno stratagemma che prevede l’apertura di società che operano in Italia, ma fatte passare per società di diritto estero allo scopo di non pagare le tasse in Italia, ma di farlo all’estero con una minore pressione fiscale. In questo filone sono stati arrestati, tra gli altri, anche commercialisti ed avvocati. Nella tranche di inchiesta condotta dalla squadra mobile, infine, è stato arrestato uno dei capi della cosca, Antonio Mancuso, di 75 anni.
I COMMENTI. Manca ancora «la parte sostanziale» dell’indagine denominata «Purgatorio» seguita dai carabinieri del Ros di Catanzaro che «deve ancora essere sviluppata». Questo quanto dichiarato dal procuratore della Dda di Catanzaro, Borrelli, nel corso della conferenza stampa tenutasi nella prefettura di Vibo Valentia per illustrare l’operazione che ha portato stamane all’arresto di 38 persone in maggioranza legate al clan Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Il magistrato ha quindi annunciato «prossimi sviluppi» del troncone denominato «Purgatorio» nel quale è confluito parecchio materiale investigativo frutto di anni di indagini. Contestualmente, il prefetto di Vibo, Michele Di Bari, ha spiegato che questa operazione è utile a «creare un clima di rasserenamento nella provincia vibonese, a dimostrazione che lo Stato è presente ed è credibile».
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