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COSENZA – L’imprenditore Mario Dodaro fu ucciso la sera del 18 dicembre del 1982, trentuno anni esatti fa. Aveva 43 anni. Rientrava dal suo salumificio e fu affrontato davanti casa, a Castrolibero, da alcune persone, una delle quali armata di pistola. Dodaro aveva un borsello con l’incasso della giornata. Pare reagì. Chi era armato sparò. Dodaro, preso al collo, giunse cadavere all’ospedale di Cosenza intorno alle 20.45, dove era stato portato da alcuni parenti. Il borsello rimase per terra. Nessuno lo prese. Le indagini furono affidate alla Squadra Mobile di Cosenza, all’epoca diretta da Nicola Calipari. 

 
 
Si iniziò a parlare di un delitto successivo a una richiesta di estorsione da parte dei clan cosentini, alla quale Dodaro si oppose. Uno zio della vittima disse agli investigatori che pochi giorni prima Dodaro gli aveva confidato di essere stato fatto oggetto di richieste estorsive da noti esponenti della criminalità organizzata cosentina. Cosa confermata da un dipendente dell’imprenditore, il quale riferì che a più riprese alcune persone si erano recate al salumificio per incontrare la vittima. 
Le indagini dell’epoca portarono all’incriminazione di queste persone, ossia Antonio Musacco, Raffaele Mazzuca, Mario Pranno e Giulio Castiglia. Alla fine sia in primo che in secondo grado furono assolti dall’accusa di omicidio volontario aggravato. Furono invece condannati per tentata estorsione. L’omicidio rimase quindi insoluto. Ne iniziarono a parlare negli anni 90 i pentiti, tra cui Umile Arturi, Aldo Acri, Dario Notargiacomo, Angelo Santolla, Ferdinando Vitelli, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Vitelli, oltre che il già citato Roberto Pagano. 
Questi ultimi «hanno sostanzialmente fornito – ha scritto il pm Bruni nella sua richiesta di archiviazione – una univoca versione dei fatti, indicando quali autori materiali i defunti Alfredo Andretti e Greco Riccardo, detto Cesarino, e quale mandante Antonio Musacco». 
A detta dei pentiti intento iniziale di Musacco sarebbe stato non quello di uccidere Dodaro ma di rapinarlo per punire la sua reticenza ad aderire alla richiesta estorsiva». Ebbene, Bruni ha ricordato che Musacco è stato a suo tempo assolto per insufficienza di prove. Quindi la dichiarazione di Pagano, che ha fatto anche il nome del cinquantunenne di Cosenza. Un nome che finora non era mai stato fatto e che ha indotto Bruni a fare luce sul suo reale coinvolgimento nel delitto di Mario Dodaro. Le indagini, come abbiamo visto, sono state affidate alla Squadra Mobile di Cosenza, che su questo nuovo nome ha lavorato dallo scorso 20 maggio fino al 18 settembre. La conclusione è che, forse sì, abbiamo a che fare con un delitto di mafia. Ma «in dibattimento – ha scritto il pm Bruni nella sua richiesta di archiviazione – non possono arrivare procedimenti fondati su elementi di prova insufficienti».
Alla richiesta di Bruni è seguita la decisione del Gip Scuteri che ha emesso il decreto di archiviazione, favorevole all’indiziato condividendo così le argomentazioni del pm. «Allo stato – ha scritto – non si rinvengono i necessari riscontri intrinseci individualizzanti alla chiamatà in reità del collaboratore di giustizia (Roberto Pagano, ndr)». Per il gip, dunque, «non emergono sufficienti elementi per  sostenere l’accusa in giudizio».
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