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PRIMA l’avrebbe “sfruttata cinicamente”, poi ha provato a chiederle scusa in aula, durante il processo. Il rapporto tra Carlo Cosco e la figlia Denise non poteva non essere al centrod ella requisitoria del pm di Milano per l’omicidio di Lea Garofalo. E’ Denise, d’altronde, la vittima di tanta ferocia. Così il procuratore Marcello Tatangelo ha spiegato che l’uomo è stato «l’organizzatore» dell’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo ed ha «sfruttato cinicamente le debolezze e le fragilità di Lea e anche di sua figlia». 
«E’ impensabile che gli si possano concedere le attenuanti generiche – ha affermato il magistrato – Cosco ha attirato Lea Garofalo nella sua trappola. Io non so se si meriti l’odio di sua figlia, e sinceramente neppure mi interessa, quello che so è che la pena che si merita è l’ergastolo e con lui suo fratello Vito».  
Parole pesanti, a cui si sono aggiunte le dichiarazioni della ragazza. Denise Garofalo non crede alle scuse che le ha presentato il padre Carlo Cosco. È questo, in sostanza, il senso di quanto detto nel processo d’appello per la morte di Lea Garofalo dall’avvocato Vincenza Rando, che rappresenta Denise. «Oggi Carlo Cosco viene qua a chiederci scusa – sono le parole del difensore – a chiedere scusa a una ragazza che sta cercando di rialzarsi, che sta costruendo la sua vita con un danno enorme perchè le è stata strappata la mamma, il suo unico punto di riferimento».L’avvocato Rando ha poi sottolineato che Denise, parte civile contro il padre, ha sempre partecipato alle udienze «a testa alta» e ha chiesto di confermare il risarcimento di 200mila euro già disposto in primo grado a carico di Cosco. La giovane ha assistito al processo sempre protetta da un paravento per motivi di sicurezza. L’avvocato Roberto D’Ippolito, che rappresenta la sorella di Lea Garofalo, ha chiesto la conferma dei sei ergastoli in primo grado, ritenendo ininfluente nel calcolo della pena la confessione di Venturino.
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