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POTENZA – Potrebbe esserci una svolta nel mistero sul delitto di Anna Maria Mecca, la 72enne pensionata uccisa il 22 ottobre del 1994 ad Avigliano all’interno della sua abitazione.
Nei giorni scorsi la Procura di Potenza ha inviato al gip una formale richiesta di riapertura delle indagini. Alla base ci sarebbero i sospetti su un paio di persone vicine alla vittima già individuate dagli investigatori che per primi si sono occupati del caso. 
Sul loro conto – 19 anni fa – non si riuscì a raccogliere elementi capaci di collocarli con certezza sulla scena del delitto o di scagionarli in maniera definitiva. Ma oggi grazie alle ultime tecnologie a disposizione gli stessi reperti potrebbero ancora svelare tracce utili a un confronto del Dna, e non solo.   
A sollecitare la riapertura del fascicolo è stato il procuratore reggente del capoluogo in persona, Laura Triassi. 
Il 22 ottobre del 1994 era sabato sera quando Anna Maria Mecca è stata ritrovata dalla nipote uccisa con una decina di coltellate alla schiena. La donna, che era vedova e viveva sola, era riversa a terra nella sala da pranzo del suo appartamento. Intorno una pozza di sangue e sul suo corpo una tenda. Attorno nessun segno di rapina. 
L’autopsia avrebbe confermato che l’anziana è deceduta a seguito delle profonde ferite causate da una lama tipo coltello, ma dell’arma del delitto non è stata mai trovata. 
Gli investigatori del Norm e del Reparto operativo dei carabinieri, coordinati dal pm Felicia Genovese (oggi in servizio al Tribunale di Roma, ndr) avrebbero iniziato da subito a interrogare parenti, amici e vicini per ricostruire le ultime ore di vita della donna e provare a individuare responsabile e movente del delitto. I vicini hanno sempre affermato di non aver visto né sentito niente, e nessuno, neanche tra i parenti, si è ricordato di litigi o questioni aperte con l’anziana signora. 
«Ero solita andare a trovare mia zia e quel giorno, il 22 ottobre del 1994, dovevo prendere da casa sua una pagnotta di pane che lei aveva acquistato per mia madre». Questo è il racconto della nipote che ha scoperto il corpo raccolto in un verbale dell’epoca. «La porta era accostata. La chiamai ma non ricevetti risposta ed entrai in cucina. Non vidi subito il corpo, ma mi accostai alla tenda che era, inspiegabilmente a terra. Appena la scostai vidi il cadavere di mia zia e il sangue che la ricopriva. Scappai fuori e gridai. Poi, con i vicini chiamammo i carabinieri». 
Nell’appartamento, a parte la tenda divelta, non ci sarebbe stato nulla fuori posto. Né la porta d’ingresso avrebbe mostrato segni di forzatura. Anna Maria Mecca conosceva il suo assassino, e con ogni probabilità gli ha aperto verso ora di pranzo a giudicare dalla tavola ancora apparecchiata con i resti del pasto appena consumato. Al centro un bottiglione, vuoto, di due litri di vino, acquistato in un negozietto di alimentari la stessa mattina del delitto e un bicchiere ancora pieno. 
I sospetti all’epoca si concentrarono proprio su questo particolare. Così a processo con l’accusa di omicidio finì un amico del defunto marito della vittima, che era solito andarla a trovare e farsi offrire un bicchiere di vino. Ma durante il dibattimento, è stato il confronto del Dna disposto dal presidente della Corte d’assise di Potenza Nicola Magrone, a fugare ogni dubbio sulla sua colpevolezza e nel 2000 è arrivata la sentenza di assoluzione.
Sulla scena del crimine era stato isolato del sangue che non apparteneva alla vittima. in particolare sulla tenda usata per coprire il corpo e vicino al lavandino della cucina, dove l’assassino dopo essersi ferito durante l’aggressione potrebbe essersi lavato le mani. Ma non apparteneva all’imputato. Tantomeno al serial killer delle vecchiette che in quegli anni imperversava tra la Puglia e la Basilicata: il tunisino Ben Mohamed Ezzedine Sebaii, arrestato nel 1997 e già accusato anche per l’omicidio di Petronilla Vernetti a Melfi nel 1995 (l’anno scorso Sebaii è stato ritrovato impiccato nel carcere di Padova). 
Questi gli unici confronti effettuati fino ad ora, a cui a breve potrebbero seguirne degli altri ma soltanto dopo che il gip avrà dato il via libera alla riapertura del fascicolo sul delitto irrisolto di Avigliano. 
lama
l.amato@luedi.it

POTENZA – Potrebbe esserci una svolta nel mistero sul delitto di Anna Maria Mecca, la 72enne pensionata uccisa il 22 ottobre del 1994 ad Avigliano all’interno della sua abitazione.Nei giorni scorsi la Procura di Potenza ha inviato al gip una formale richiesta di riapertura delle indagini. Alla base ci sarebbero i sospetti su un paio di persone vicine alla vittima già individuate dagli investigatori che per primi si sono occupati del caso. 

Sul loro conto – 19 anni fa – non si riuscì a raccogliere elementi capaci di collocarli con certezza sulla scena del delitto o di scagionarli in maniera definitiva. Ma oggi grazie alle ultime tecnologie a disposizione gli stessi reperti potrebbero ancora svelare tracce utili a un confronto del Dna, e non solo.   

A sollecitare la riapertura del fascicolo è stato il procuratore reggente del capoluogo in persona, Laura Triassi. Il 22 ottobre del 1994 era sabato sera quando Anna Maria Mecca è stata ritrovata dalla nipote uccisa con una decina di coltellate alla schiena. La donna, che era vedova e viveva sola, era riversa a terra nella sala da pranzo del suo appartamento. Intorno una pozza di sangue e sul suo corpo una tenda. Attorno nessun segno di rapina. 

L’autopsia avrebbe confermato che l’anziana è deceduta a seguito delle profonde ferite causate da una lama tipo coltello, ma dell’arma del delitto non è stata mai trovata. Gli investigatori del Norm e del Reparto operativo dei carabinieri, coordinati dal pm Felicia Genovese (oggi in servizio al Tribunale di Roma, ndr) avrebbero iniziato da subito a interrogare parenti, amici e vicini per ricostruire le ultime ore di vita della donna e provare a individuare responsabile e movente del delitto.

 I vicini hanno sempre affermato di non aver visto né sentito niente, e nessuno, neanche tra i parenti, si è ricordato di litigi o questioni aperte con l’anziana signora. 

«Ero solita andare a trovare mia zia e quel giorno, il 22 ottobre del 1994, dovevo prendere da casa sua una pagnotta di pane che lei aveva acquistato per mia madre». Questo è il racconto della nipote che ha scoperto il corpo raccolto in un verbale dell’epoca. 

«La porta era accostata. La chiamai ma non ricevetti risposta ed entrai in cucina. Non vidi subito il corpo, ma mi accostai alla tenda che era, inspiegabilmente a terra. Appena la scostai vidi il cadavere di mia zia e il sangue che la ricopriva. Scappai fuori e gridai. Poi, con i vicini chiamammo i carabinieri». 

Nell’appartamento, a parte la tenda divelta, non ci sarebbe stato nulla fuori posto. Né la porta d’ingresso avrebbe mostrato segni di forzatura. Anna Maria Mecca conosceva il suo assassino, e con ogni probabilità gli ha aperto verso ora di pranzo a giudicare dalla tavola ancora apparecchiata con i resti del pasto appena consumato. Al centro un bottiglione, vuoto, di due litri di vino, acquistato in un negozietto di alimentari la stessa mattina del delitto e un bicchiere ancora pieno. I sospetti all’epoca si concentrarono proprio su questo particolare. Così a processo con l’accusa di omicidio finì un amico del defunto marito della vittima, che era solito andarla a trovare e farsi offrire un bicchiere di vino. 

Ma durante il dibattimento, è stato il confronto del Dna disposto dal presidente della Corte d’assise di Potenza Nicola Magrone, a fugare ogni dubbio sulla sua colpevolezza e nel 2000 è arrivata la sentenza di assoluzione.

Sulla scena del crimine era stato isolato del sangue che non apparteneva alla vittima. in particolare sulla tenda usata per coprire il corpo e vicino al lavandino della cucina, dove l’assassino dopo essersi ferito durante l’aggressione potrebbe essersi lavato le mani. Ma non apparteneva all’imputato. Tantomeno al serial killer delle vecchiette che in quegli anni imperversava tra la Puglia e la Basilicata: il tunisino Ben Mohamed Ezzedine Sebaii, arrestato nel 1997 e già accusato anche per l’omicidio di Petronilla Vernetti a Melfi nel 1995 (l’anno scorso Sebaii è stato ritrovato impiccato nel carcere di Padova). 

Questi gli unici confronti effettuati fino ad ora, a cui a breve potrebbero seguirne degli altri ma soltanto dopo che il gip avrà dato il via libera alla riapertura del fascicolo sul delitto irrisolto di Avigliano. 

l.amato@luedi.it

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