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COSENZA – Trent’anni per Domenico Cicero, assoluzione per Francesco Chirillo. Questa la sentenza emessa ieri con la formula del rito abbreviato dal gup di Catanzaro, Assunta Maiore, in merito all’omicidio di Carmine Pezzulli, ucciso il 22 luglio del 2002 mentre, alla guida della sua Panda “Dance”, percorreva Viale Cosmai. I due imputati erano accusati di essere stati i mandanti dell’agguato mortale, col pm Pierpaolo Bruni, della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che aveva chiesto la loro condanna a 30 anni di reclusione. Richiesta accolta a metà dal gup che ha appunto condannato il solo Cicero, assolvendo Chirillo. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. A seguito della sentenza, dunque, il solo Cicero sarebbe stato, in qualità di capo dell’omonimo clan, il mandante del delitto, con Pezzulli ucciso a seguito di uno “sgarro”. Avrebbe cioè preso dalla bacinella del clan ben 800milioni delle vecchie lire, circa 400mila euro. Secondo il pentito Francesco Galdi, alias “il dottore”, ascoltato in aula lo scorso 18 febbraio, con quei soldi “Carminuzzu” Pezzulli acquistò un terreno e un’automobile. Lo stesso collaboratore di giustizia aggiunse che gli uomini del clan Cicero si rivolsero proprio a lui, in quanto esperto in materia contabile, per accertare se il valore del terreno e dell’auto era lo stesso della cifra presa dalla bacinella. La risposta fu affermativa e così si decise di uccidere Pezzulli. 

Sempre a detta di Galdi l’uomo a sparare contro “Carminuzzu” fu Davide Aiello (la cui posizione è tuttora al vaglio della Corte di Assise di Cosenza). Il pentito ha fatto anche il nome di una seconda persona, ossia Gianfranco Sganga (lo scorso dicembre condannato in via definitiva dalla Cassazione a 8 anni per “Anaconda”). Secondo la sua ricostruzione dei fatti era lui alla guida della moto che affiancò Pezzulli. Dietro era seduto Aiello, che fece appunto fuoco. La vittima era ferma al semaforo su viale Cosmai, poco dopo il ponte che fa da confine tra Cosenza e Rende. Centrato dai colpi, perse il controllo dell’auto, che andò contro la siepe divisoria, per poi arrestarsi sul marciapiede opposto. Era pieno giorno e per fortuna la Panda priva di controllo non investì persone o altre auto. Galdi ha descritto Sganga come un “pezzo grosso” del clan Cicero e ha aggiunto che dopo l’omicidio gli fu dato il ruolo di “sgarrista”. Tesi che – anche a fronte di una nuova perizia – ha convinto il gup, che ha alla fine condannato il solo Cicero (difeso dagli avvocati Linda Boscaglia e Vincenzo Musco).
IL SERVIZIO COMPLETO, A FIRMA DI ROBERTO GRANDINETTI, SULL’EDIZIONE CARTACEA DI OGGI DEL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA
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