X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

HA patteggiato una condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione Paolo Pappalardo, il centauro che alle 8 e 40 di mattina del 3 agosto di 2 anni fa ha travolto Mario Tito e la moglie, uccidendo il primo e ferendo la seconda. “Non luogo a procedere”, invece, per Mario Restaino, il dirigente dell’Unità direzionale “mobilità” del Comune di Potenza, Vittorio Baldantoni, funzionario dello stesso ufficio, e Vito Sileo «coadiutore» di quest’ultimo. 
Si è conclusa così ieri pomeriggio l’udienza preliminare del processo per la morte del podista potentino, davanti al giudice Rosa Larocca. Soddisfatti gli avvocati dei dipendenti dell’amministrazione Matteo Restaino, Loredana Satriani, Salomone Bevilacqua e Imperio Napolitano. A loro – secondo l’accusa – spettava la manutenzione della strada, segnaletica inclusa. Eppure quel giorno le strisce lungo l’attraversamento di viale del Basento, appena imboccato dai coniugi Tito, erano diventate impossibili da riconoscere. Paolo Pappalardo stava arrivando spedito in sella alla sua Honda scarenata. Ha visto il furgone fermo a destra della carreggiata. Si è spostato a sinistra per superarlo e quando in mezzo alla strada sono spuntati i due pedoni non c’è stato più nulla da fare. Di qui l’accusa per tutti di omicidio colposo in quanto avrebbero violato le norme del codice della Strada «che fanno tra l’altro obbligo di provvedere alla manutenzione della strada con l’apposizione della segnaletica prescritta e di mantenere la segnaletica stradale orizzontale in perfetta efficienza». 
La presunta inerzia dei tre dipendenti dell’amministrazione comunale era stata considerata equivalente all’aver omesso «di segnalare l’attraverso pedonale con la prescritta segnaletica orizzontare (cd. strisce pedonali)», dato che così facendo – o meglio non facendo – Pappalardo non sarebbe stato in grado di portare a dovere la sua motocicletta dal momento che ignorava l’esistenza delle strisce pedonali. Ma davanti al gup le difese hanno battuto a lungo sull’impossibilità di estendere anche a loro la responsabilità penale per l’accaduto visti i limiti di budget con cui erano costretti a fare i conti all’ufficio mobilità, ieri come ancora oggi. 
Di suo Pappalardo è stato accusato di eccesso di velocità e guida pericolosa. Per il pm infatti «fino a 6 metri circa dalla coda del furgone (fermo per dare la precedenza ai due coniugi che stavano attraversando), e dunque fino a circa 15 dal punto di investimento, aveva la possibilità di scorgere la segnaletica verticale indicante la presenza dell’attraversamento pedonale senza che questa fosse coperta dal mezzo sorpassato». Ma la moto avrebbe proseguito come se nulla fosse. «A seguito dell’impatto – secondo la dinamica ricostruita dagli inquirenti – i pedoni venivano scaraventati circa 4 metri in avanti inseme al motoveicolo. La Salvia (moglie di Mario Tito, ndr) cadeva per prima e trascinava con sè il marito che batteva violentemente il capo a terra». Il risultato è stato un grosso trauma alla gamba per lei, giudicato guaribile in 21 giorni, e un altro molto più grave per lui, con tanto di emorragia celebrale, che dopo quasi 3 mesi di sofferenze in ospedale l’avrebbe portato alla morte. 
«Il signor Pappalardo – ha dichiarato il suo legale, l’avvocato Paolo Sannino – aveva deciso di patteggiare già a gennaio del 2013. La perizia della Procura gli era sfavorevole ancorché avesse colpito soltanto la signora e la morte di Tito sia stata determinata da alcune concause sfortunate. Inoltre è sempre stato vicino alla vedova anche durante il ricovero in ospedale dopo l’incidente andandola a trovare, affranto, più volte». 
Mario Tito era molto conosciuto tra gli sportivi del capoluogo. Dalla sua morte la segnaletica stradale di viale del Basento è stata molto migliorata. 
l.amato@luedi.it 

Ha patteggiato una condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione Paolo Pappalardo, il centauro che alle 8 e 40 di mattina del 3 agosto di 2 anni fa ha travolto Mario Tito e la moglie, uccidendo il primo e ferendo la seconda. “Non luogo a procedere”, invece, per Mario Restaino, il dirigente dell’Unità direzionale “mobilità” del Comune di Potenza, Vittorio Baldantoni, funzionario dello stesso ufficio, e Vito Sileo «coadiutore» di quest’ultimo. Si è conclusa così ieri pomeriggio l’udienza preliminare del processo per la morte del podista potentino, davanti al giudice Rosa Larocca. 

Soddisfatti gli avvocati dei dipendenti dell’amministrazione Matteo Restaino, Loredana Satriani, Salomone Bevilacqua e Imperio Napolitano. A loro – secondo l’accusa – spettava la manutenzione della strada, segnaletica inclusa. Eppure quel giorno le strisce lungo l’attraversamento di viale del Basento, appena imboccato dai coniugi Tito, erano diventate impossibili da riconoscere. Paolo Pappalardo stava arrivando spedito in sella alla sua Honda scarenata. Ha visto il furgone fermo a destra della carreggiata. Si è spostato a sinistra per superarlo e quando in mezzo alla strada sono spuntati i due pedoni non c’è stato più nulla da fare. 

Di qui l’accusa per tutti di omicidio colposo in quanto avrebbero violato le norme del codice della Strada «che fanno tra l’altro obbligo di provvedere alla manutenzione della strada con l’apposizione della segnaletica prescritta e di mantenere la segnaletica stradale orizzontale in perfetta efficienza». 

La presunta inerzia dei tre dipendenti dell’amministrazione comunale era stata considerata equivalente all’aver omesso «di segnalare l’attraverso pedonale con la prescritta segnaletica orizzontare (cd. strisce pedonali)», dato che così facendo – o meglio non facendo – Pappalardo non sarebbe stato in grado di portare a dovere la sua motocicletta dal momento che ignorava l’esistenza delle strisce pedonali. 

Ma davanti al gup le difese hanno battuto a lungo sull’impossibilità di estendere anche a loro la responsabilità penale per l’accaduto visti i limiti di budget con cui erano costretti a fare i conti all’ufficio mobilità, ieri come ancora oggi. 

Di suo Pappalardo è stato accusato di eccesso di velocità e guida pericolosa. Per il pm infatti «fino a 6 metri circa dalla coda del furgone (fermo per dare la precedenza ai due coniugi che stavano attraversando), e dunque fino a circa 15 dal punto di investimento, aveva la possibilità di scorgere la segnaletica verticale indicante la presenza dell’attraversamento pedonale senza che questa fosse coperta dal mezzo sorpassato». 

Ma la moto avrebbe proseguito come se nulla fosse. «A seguito dell’impatto – secondo la dinamica ricostruita dagli inquirenti – i pedoni venivano scaraventati circa 4 metri in avanti inseme al motoveicolo. La Salvia (moglie di Mario Tito, ndr) cadeva per prima e trascinava con sè il marito che batteva violentemente il capo a terra». 

Il risultato è stato un grosso trauma alla gamba per lei, giudicato guaribile in 21 giorni, e un altro molto più grave per lui, con tanto di emorragia celebrale, che dopo quasi 3 mesi di sofferenze in ospedale l’avrebbe portato alla morte. «Il signor Pappalardo – ha dichiarato il suo legale, l’avvocato Paolo Sannino – aveva deciso di patteggiare già a gennaio del 2013. 

La perizia della Procura gli era sfavorevole ancorché avesse colpito soltanto la signora e la morte di Tito sia stata determinata da alcune concause sfortunate. Inoltre è sempre stato vicino alla vedova anche durante il ricovero in ospedale dopo l’incidente andandola a trovare, affranto, più volte». Mario Tito era molto conosciuto tra gli sportivi del capoluogo. Dalla sua morte la segnaletica stradale di viale del Basento è stata molto migliorata. 

l.amato@luedi.it 

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE