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SONO trascorse oltre cento ore da quando non si hanno notizie di Francesco Scalise e Luciano Gallo, i due operai edili calabresi scomparsi in Libia. Silenzio totale sul loro destino che, secondo fonti locali, sarebbe in mano a un commando armato che li ha sequestrati. E sono ore d’ansia a Pianopoli e Feroleto Antico, dove vivono le famiglie dei due uomini partiti per il Nordafrica con la ditta per la quale sono impiegati, la General World di Petilia Policastro, in provincia di Crotone. 

Scalise da anni lavora all’estero e prima della Libia è stato in Marocco e Tunisia. Per Gallo, invece, si trattava del primo incarico fuori dall’Italia. La Farnesina segue con attenzione l’evolversi della vicenda, ma senza un contatto è impossibile ragionare su azioni su soluzioni. E il contatto ancora non arriva.

Erano circa le 16 di venerdì scorso quando la banda di rapitori è entrata in azione: hanno sorpreso i due a bordo di un furgone dell’impresa e li hanno fatti scendere sotto la minaccia delle armi. Ma a bordo di quel veicolo doveva esserci anche una terza persona: si tratta di Giuseppe Rizzuti, 33 anni di Petilia Policastro, l’autista della ditta, che stava accompagnando gli operai. La sua è la storia di un uomo fortunato. Gli è stato chiesto infatti di andare a prendere un camion e raggiungere poi i colleghi. Quando è tornato, ha trovato il furgone con gli sportelli spalancati, mentre di Scalise e Gallo non c’era traccia. 

A raccontare la vicenda è il sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi, che ora dice: «Se Giuseppe decidesse di rientrare l’amministrazione comunale si farà carico dele spese. Questo perchè Giuseppe, un giovane che è dovuto andare a lavorare in Libia, per prendere uno stipendio da 1.700 euro al mese, è la faccia per bene di Petilia Policastro, quella laboriosa». 

Francesco Rizzuti, papà di Giuseppe racconta di aver saputo del rapimento dei colleghi del figlio dalla televisione: «Visto che  non riuscivamo a contattarlo, ci siamo rivolti al sindaco per chiedergli se, in qualche modo, ci poteva aiutare ad avere qualche contatto con l’ambasciata. Abbiamo pensato che che lui avesse più strumenti e contatti di noi. Ieri mattina i carabinieri e ci hanno rassicurato sul fatto che mio figlio è libero di tornare. Se il lavoro non riprende –  aggiunge – credo che tornerà presto, anche perchè ad aspettarlo, qui a casa, c’è la moglie con i due figli piccoli». 

 

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