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Operazione della Guardia di Finanza in tutta Italia, denominata “Artù” e disposta dalla DDA di Reggio Calabria, per bloccare una maxi operazione di riciclaggio di denaro messa in atto attraverso l’intermediazione di esponenti di spicco della ‘Ndrangheta e di Cosa Nostra. Venti le ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguite dalle Fiamme Gialle del comando di Reggio nei confronti di altrettanti soggetti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla truffa e alla falsificazione di titoli di credito. Al blitz partecipano gli uomini della guardia di Finanza di Reggio Calabria. L’indagine – a cui ha partecipato anche il nucleo di polizia valutaria della Gdf e, in una prima fase, la procura di Palmi – ha stroncato organizzatori ed esecutori del riciclaggio, impedendo un affare da centinaia di milioni di euro. L’inchiesta ha avuto inizio dopo il sequestro di un un certificato di deposito emesso dal Credit Suisse per un importo di 870 milioni di dollari. In occasione del sequestro del certificato di deposito furono denunciate due persone ritenute vicine alla cosca dei Fazzalari – Viola – Avignone. Dagli accertamenti compiuti è emerso che il certificato di credito è stato aperto nel 1961 ed intestato a mister ‘Soekarno’, il quale risulterebbe essere stato, da successivi accertamenti, il dittatore dell’Indonesia dal 1945 al 1967, scomparso nel 1971. Dalle indagini compiute dalla guardia di finanza è emerso che era stata costituita una associazione criminale, tra esponenti della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra Siciliana, per commercializzare titoli di credito falsi. In particolare le venti persone arrestate, secondo quanto si è appreso, avevano contatti con numerose istituti di credito in Italia e all’estero.
Numerose sarebbero state le banche italiane ed estere, tra cui lo Ior, contattate dall’organizzazione criminale sgominata questa mattina per negoziare il certificato di deposito da 870 milioni di dollari. Il particolare emerge dalle indagini della Guardia di finanza coordinate dal Procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone e del Procuratore Aggiunto, Nicola Gratteri. Per giustificare la legittima origine del certificato di deposito i componenti dell’organizzazione avevano fatto ricorso anche al falso espediente di documentarne la provenienza attraverso un monsignore deceduto che avrebbe ottenuto il titolo dal dittatore indonesiano come ricompensa per avergli salvato la vita durante una rivolta avvenuta in Indonesia a metà degli anni ’60 del secolo scorso.
Il procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nel corso della conferenza stampa ha dichiarato «Le trattative intavolate con le banche ci fa porre alcune domande sul rischio di collusione o di una ingenuità eccezionale da parte dei funzionari bancari».
«Al di là di tutto, l’aspetto positivo – ha aggiunto Pignatone – di questa operazione è l’aver impedito il cambio di un titolo falso. Perchè‚ se l’operazione fosse andata in porto, una grande quantità di denaro sarebbe transitata in diversi conti correnti aperti sia in Italia che all’estero e non avremmo avuto nessuna possibilità di recupero».
Il procuratore aggiunto, Nicola Gratteri, ha evidenziato che «davanti ad una somma così ingente non sarebbe dovuto accadere che alcuni funzionari di banca senza battere ciglio abbiano cominciato a trattare ed a discutere la negoziazione del titolo. Siamo stati anche fortunati a trovare l’ottima collaborazione che ormai la Procura di Reggio Calabria ha da tantissimi anni con le autorità straniere, in particolare con la Svizzera.
Da almeno due anni gli svizzeri collaborano molto più di altri Stati europei. La loro collaborazione – ha concluso Gratteri – ci ha permesso di dimostrare che questa era una organizzazione abbastanza determinata ed agguerrita».
Per il comandante provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria, Col. Albero Reda, si è trattato di una «indagine partita nel settembre del 2009 con il sequestro nella Piana di Rosarno del Titolo in possesso di due soggetti originari di Taurianova, vicini alla cosca egemone Fazzolari-Viola Avignone.
Da essa emerge – ha aggiunto Reda – uno scenario allarmante di una criminalità niente affatto rozza con una struttura stabile, in grado di investire ingenti risorse».
I venti provvedimenti restrittivi (19 in carcere e uno ai domiciliari) sono stati firmati dal gip Silvana Grasso su richiesta del procuratore Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Nicola Gratteri. La base dell’organizzazione è stata individuata nella Piana di Gioia Tauro. Da questo comprensorio reggino sono partiti i soggetti che hanno cercato di mimetizzare il titolo e negoziarlo con alcuni istituti di credito nazionali e esteri.
I provvedimenti restrittivi sono stati eseguiti a Trapani, altrettanti a Reggio Emilia, Modena, Catanzaro, Palermo, Bologna, Verona, Cosenza e Reggio Calabria. Nel provvedimento, riferito alla dichiarazione del Credit Suisse che ha ritenuto falso il titolo, il Gip espirme della riserve, anche sulla base delle deduzioni fatte dalla procura. «Benchè il Credit Suisse – si legge nel provvedimento del Gip – abbia comunicato la falsità del titolo, tale risposta non può considerarsi genuina perchè l’Istituto di Credito ha tutto l’interesse a non consentire la negoziabilità del titolo stesso. Le evidenze investigative,al contrario, portano a ritenere che il titolo sia vero atteso che nessuno dei soggetti intercettati fa mai cenno a tale falsità nemmeno parlandone fra di loro e che gli istituti di credito interessati hanno dimostrato un interesse concreto soprattutto dopo aver svolto gli accertamenti preliminari su canali paralleli attivati per verificare la veridicità del titolo». Dall’indagine della Procura emerge anche gli attori della vicenda hanno presentato ai potenziali acquirenti un falso decreto di dissequestro sul quale era stata apposta la firma apocrifa del pubblico ministero di Palmi.

GLI ARRESTATI
Le persone colpite dal provvedimento restrittivo del giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria sono Vincenzo Andronico, 38 anni, di Oppido Mamertina (RC), Andrea Angelo (31) di Alcamo (Tp), Angelo Salvatore (62) di Salemi (TP), Rocco Arena (41) di Taurianova (RC), Paolo Baccarini (45) di Modena, Vincenzo Dattilo (55) di Nicastro (CZ), Antonio Drago (54) di Valledolmo (PA), Michele Fidale (50) di Polistena (RC), Francesco Filippone (31) di Melicucco (RC), Santo Rocco Filippone (71) di Anoia (RC), Antonino Galasso (59) di Cittanova (RC), Nicola Galati (51) di Vibo Valentia, Francesco Grupico (44) di Marina di Gioiosa Ionica (RC), Antonino Napoli 861) di Polistena (RC) Alessio Vincenzo Rovitti (36) di Casano allo Ionico (CS), Carmelo Sposato (37) di Taurianova (RC), Giuseppe Sposato (45) di Taurianova (RC), Antonino Surace (35) di Polistena (RC), Rocco Ursino (51). Tutti sono finiti in carcere.
Gli arresti domiciliari sono stati concessi a Daniela Rozzi, di 43 anni, di Modena. Alcuini di questi soggetti sono indicati vicini alle cosche della ‘ndrangheta: Antonio Napoli ai Longo – Versace di Polistena; Antonino Galasso ai Facchineri di Cittanova; Rocco Santo e Francesco Filippone vengono indicati rispettivamente capo cosca e affiliato alla ‘ndrina Filippone – Binachino – Petullà di Cinquefrondi; Francesco Grupico vicino agli Aquino di Marina di Gioiosa Ionica. Angelo e Andrea Salvatore – sempre secondo gli investigatori – risultano legati a Cosa nostra in quanto vicini alla famiglia di Salemi, in particolare con Salvatore Miceli (arrestato di recente in Venezuale) a sua volta legato con Matteo Messina Denaro. Il ruolo dei due sarebbe stato quello di negoziare il titolo bancario in un istituto di credito del capoluogo siciliano.

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