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SONO ARRIVATI da Roma per piazzare tutto l’armamentario del caso all’interno della gioielleria di Giovanni Bollettino in realtà intestata alla moglie ma di fatto gestita da lui. Un’operazione ad alto rischio nella piazza più sorvegliata di tutta Potenza e per di più d’estate, quando si accende la movida tra i locali del centro storico tutt’attorno piazza Matteotti, più nota come piazza Sedile. Da un lato la Banca d’Italia con il caveau più ricco di tutta la Regione. Da un altro il Comune. Farmacie, gioiellerie e la filiale di un’altro istituto di credito (da poco convertito R-store). Infine il tempietto di San Gerardo, unica presenza indifferente al passare dei gusti e delle stagioni (a parte qualche vandalo ogni tanto). Sono arrivati dallo Sco, che è il servizio centrale operativo della polizia. Agenti specializzati, ciononostante sono occorsi tre giorni, anzi tre notti per completare il lavoro. Il risultato sono le intercettazioni ambientali al centro dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita venerdì mattina. «Elementi di indubbia e univoca conferma delle operazioni finanziarie» che avvenivano là dentro, le chiama il gip Luigi Spina. Perchè Bollettino si sentiva al sicuro nella sua gioielleria. Non poteva immaginare che il 21 luglio del 2009, poco meno di un mese dopo l’aggressione a Saverio Sangregorio, qualcuno fosse andato a fargli visita di nascosto. L’operazione era scattata quando mancavano 10 minuti alle 3 del mattino. In due della squadra mobile più almeno un paio di specialisti dello Sco erano arrivati in piazza Matteotti. Per prima cosa gli agenti si sarebbero accertati che non vi fosse nessuno nel «perimetro oggetto di osservazione». Era già da un po’ che la zona veniva sorvegliata. Poi sarebbe partita una telefonata alla sala operativa per deviare le pattuglie dei carabinieri per quella strada ed evitare un incontro ravvicinato coi militari che se fosse andata bene avrebbe potuto mandare a monte la copertura. Perchè cedessero i cilindretti della serratura, del lucchetto di sicurezza e infine della cassetta per l’apertura motorizzata della saracinesca sarebbe occorsa un’ora. A quel punto una volta dentro gli agenti non avrebbero potuto far altro che constatare che la porta era aperta, l’allarme disinserito e non c’erano telecamere di sorveglianza. Il tempo scarseggiava per altro e c’era il rischio che tornando nei giorni successivi quel lavoro potesse essere vanificato da una porta chiusa. Hanno cercato le chiavi ma non le hanno trovate. Tornare il giorno dopo e trovare tutto inalterato è stato un colpo di fortuna. Assieme agli agenti dello Sco e della squadra mobile di Potenza erano presenti anche due dipendenti di una ditta specializzata in intercettazioni private. Avrebbero piazzato una telecamera e un microfono mentre uno solo restava fuori a fare da palo. Saracinesca abbassata, cassetta, serratura e lucchetto chiusi. Missione compiuta? Invece no, altrimenti sarebbe come un film di 007. Sembra che i tecnici della ditta d’intercettazioni avessero sbagliato i loro calcoli. I vetri blindati della gioielleria avrebbero impedito al segnale analogico di arrivare all’esterno dove una stazione mobile li avrebbe rilanciati fino alla sala ascolto della procura della Repubblica di Potenza al secondo piano del Palazzo di giustizia. Squadra mobile, Sco, e tecnici privati sarebbero dovuti intervenire una terza volta. Via la telecamera e i microfoni radio. Dentro una cimice modello cellulare, di quelle con collegamento Gsm. Alle cinque meno dieci del 23 luglio la missione è stata finalmente completata.

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