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di GIUSEPPE BALDESSARRO
Reggio Calabria –  L’ultima telefona arrivata al telefonino di Orsola Fallara è quella partita dal telefonino della figlia Anna. La dirigente dell’Ufficio finanze del Comune di Reggio Calabria, prima di bere l’acido muriatico, che l’avrebbe portata alla morte, aveva pensato alla persona che amava di più. Alle 23.32 e 47 secondi, aveva fatto uno squillo alla figlia, che una manciata di secondi dopo, alle 23,33 e 2 secondi, aveva provato a richiamarla senza risposta. La telefonata successiva è alle 23 e 40, quando chiede aiuto ai carabinieri: «Mi chiamo Orsola Fallara, ho bevuto dell’acido e sono in una Mercedes nera al porto». Un’ora prima aveva parlato per dieci minuti con Demetrio Arena.
I tabulati agli atti del processo sul buco di bilancio di palazzo san Giorgio in corso davanti al Tribunale di Reggio Calabria, descrivono in maniera dettagliata le ultime ore di vita di Orsola Fallara. La magistratura si è limitata ad acquisire il traffico dei cellulari della dirigente a partire dal giorno del suo suicidio, il 15 dicembre del 2010, fino al momento della morte arrivata poco più di 24 ore dopo. Un documento utile, nella sua drammaticità, a mettere alcuni punti fermi, e ad alimentare qualche dubbio che non ha ancora avuto risposta. Nessun giallo, sia chiaro, dettagli che però appaiono ancora non chiariti. 
Il 15 dicembre Orsola Fallara decide di convocare una conferenza stampa, che terrà poi, nel pomeriggio, al “B’art cafè”, un noto locale di fronte a Palazzo san Giorgio. La mattinata la trascorrerà quindi a contattare giornalisti in vista dell’appuntamento pomeridiano. Parla spesso con la figlia, qualche volta con il fratello e con alcuni amici e dipendenti del comune. Chiama diverse volte anche Costantino Trimboli, l’imprenditore vibonese a cui aveva prestato alcune centinaia di migliaia di euro. Usa un 335… fino alle ore venti di quella sera. Poi sale a casa e lascia il telefono in macchina. In quel frangente qualcuno rompe il vetro della vettura e ruba sia il cellulare che alcuni documenti. Quando la donna scopre il furto si fa prestare il telefonino dalla sorella, un 329 … e va a denunciare ai carabinieri il furto. Alle 21 e 58 riceve la telefonata della figlia. Alle 22 e 15 Orsola Fallara chiama Demetrio Arena (all’epoca non ancora sindaco, ma amministratore unico dell’Atam), i due stanno al telefono per poco più di dieci minuti (e questo è l’unico caso in cui viene riportato il tempo della telefonata). Poi altre due telefonate con la figlia, che la chiama alle 22 e 32 e che a sua volta viene chiamata alle 22 e 51. Alle 23 e 02 la dirigente chiama un numero non raggiungibile. E’ un 340 … che non è stato identificato. Alle 23 e 32 uno squillo ancora per Anna, sarà l’ultimo. Ai tentativi della ragazza di richiamare la madre non ci sono risposte. Ai carabinieri arriva la richiesta d’aiuto alle 23 e 40. 
Essendo stato rubato il telefonino, normalmente usato dalla Fallara, è chiaro che non vi sono telefonate in entrata. O meglio non è possibile verificare se qualcuno abbia tentato di chiamarla.
Resta comunque un documento drammatico. I tabulati ci dicono che, dal momento in cui la donna fa la denuncia del furto del telefonino, a quando compie l’atto del suicidio (ossia in poco più di un’ora) chiama solo poche persone dal telefono della sorella. Chiama la figlia innanzitutto. Chiama Arena. E tenta di mettersi in contatto coni un utente non indentificato. Quello che accade dopo è tragicamente noto.

REGGIO CALABRIA – L’ultima telefona arrivata al telefonino di Orsola Fallara è quella partita dal telefonino della figlia Anna. La dirigente dell’Ufficio finanze del Comune di Reggio Calabria, prima di bere l’acido muriatico, che l’avrebbe portata alla morte, aveva pensato alla persona che amava di più. Alle 23.32 e 47 secondi, aveva fatto uno squillo alla figlia, che una manciata di secondi dopo, alle 23,33 e 2 secondi, aveva provato a richiamarla senza risposta. La telefonata successiva è alle 23 e 40, quando chiede aiuto ai carabinieri: «Mi chiamo Orsola Fallara, ho bevuto dell’acido e sono in una Mercedes nera al porto». Un’ora prima aveva parlato per dieci minuti con Demetrio Arena.I tabulati agli atti del processo sul buco di bilancio di palazzo san Giorgio in corso davanti al Tribunale di Reggio Calabria, descrivono in maniera dettagliata le ultime ore di vita di Orsola Fallara. La magistratura si è limitata ad acquisire il traffico dei cellulari della dirigente a partire dal giorno del suo suicidio, il 15 dicembre del 2010, fino al momento della morte arrivata poco più di 24 ore dopo. Un documento utile, nella sua drammaticità, a mettere alcuni punti fermi, e ad alimentare qualche dubbio che non ha ancora avuto risposta. Nessun giallo, sia chiaro, dettagli che però appaiono ancora non chiariti. Il 15 dicembre Orsola Fallara decide di convocare una conferenza stampa, che terrà poi, nel pomeriggio, al “B’art cafè”, un noto locale di fronte a Palazzo san Giorgio. La mattinata la trascorrerà quindi a contattare giornalisti in vista dell’appuntamento pomeridiano. Parla spesso con la figlia, qualche volta con il fratello e con alcuni amici e dipendenti del comune. Chiama diverse volte anche Costantino Trimboli, l’imprenditore vibonese a cui aveva prestato alcune centinaia di migliaia di euro. Usa un 335… fino alle ore venti di quella sera. Poi sale a casa e lascia il telefono in macchina. In quel frangente qualcuno rompe il vetro della vettura e ruba sia il cellulare che alcuni documenti. Quando la donna scopre il furto si fa prestare il telefonino dalla sorella, un 329 … e va a denunciare ai carabinieri il furto. Alle 21 e 58 riceve la telefonata della figlia. Alle 22 e 15 Orsola Fallara chiama Demetrio Arena (all’epoca non ancora sindaco, ma amministratore unico dell’Atam), i due stanno al telefono per poco più di dieci minuti (e questo è l’unico caso in cui viene riportato il tempo della telefonata). Poi altre due telefonate con la figlia, che la chiama alle 22 e 32 e che a sua volta viene chiamata alle 22 e 51. Alle 23 e 02 la dirigente chiama un numero non raggiungibile. E’ un 340 … che non è stato identificato. Alle 23 e 32 uno squillo ancora per Anna, sarà l’ultimo. Ai tentativi della ragazza di richiamare la madre non ci sono risposte. Ai carabinieri arriva la richiesta d’aiuto alle 23 e 40. Essendo stato rubato il telefonino, normalmente usato dalla Fallara, è chiaro che non vi sono telefonate in entrata. O meglio non è possibile verificare se qualcuno abbia tentato di chiamarla.Resta comunque un documento drammatico. I tabulati ci dicono che, dal momento in cui la donna fa la denuncia del furto del telefonino, a quando compie l’atto del suicidio (ossia in poco più di un’ora) chiama solo poche persone dal telefono della sorella. Chiama la figlia innanzitutto. Chiama Arena. E tenta di mettersi in contatto coni un utente non indentificato. Quello che accade dopo è tragicamente noto.

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