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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Nei giorni scorsi noi tutti abbiamo perso un familiare. E’ un dato di fatto, anche se non ce ne siamo resi conto, anche se non ce ne rendiamo conto. Questo è vero quando muore qualsiasi uomo, ché, come ci ha avvertito John Donne: “Nessun uomo è un’isola,/ completo in se stesso;/ ogni uomo è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla / venisse lavata via dal mare, / l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio, / come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, / o la tua stessa casa. / La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,/ perché io sono parte dell’umanità./ dunque non chiedere mai/ per chi suona la campana:/ essa suona per te”. Sono versi che colpirono Ernest Hemingway, che li pose come epigrafe del suo notissimo “Per chi suona la campana” e furono ripresi, tra gli altri, da Martin Luther King nei suoi discorsi. Ma lo è ancora più vero, per così dire, quando muore chi realmente ha creduto di far parte, con tutti gli altri, di un’unica famiglia: la famiglia umana. Parlo di Vittorio Arrigoni, strangolato giorni fa nella Striscia di Gaza, che tale convincimento ha più volte espresso, scritto nei suoi reportage e, quel che più conta, a esso ha ispirato la sua vita, le sue azioni concrete, la sua lunga militanza pacifista. In tre anni Arrigoni era diventato un “cittadino” di Gaza, rispettato dalla popolazione che egli stesso coraggiosamente assisteva facendo da scudo umano ai contadini al confine di Israele e ai pescatori che si avventuravano oltre le tre miglia dalla costa, dove scatta il blocco israeliano. Arrigoni, aveva 36 anni, era nato a Besana in Brianza (Mliano) ed era diventato membro attivo dell’International Solidarity Movement, un gruppo che aveva già avuto un morto, la pacifista americana Rachel Corrie, schiacciata da una ruspa israeliana nel marzo 2003, mentre tentava di impedire l’abbattimento di alcune case palestinesi a Rafah. Era soprannominato “Utopia” e nel suo blog “Guerrilla Radio” titolo di una canzone dei Rage against the machine, raccontava le violenze sul popolo palestinese e le sue sofferenze; anche in questi giorni aveva documentato i raid israeliani nella Striscia e le morti dei palestinesi nei tunnel collegati dall’Egitto. Era l’unica voce che testimoniava direttamente i tragici eventi che segnavano la vita e la morte di tanta parte di quella popolazione dimenticata dai media e dalle diplomazie occidentali. Nel dicembre 2008 aveva raccontato l’offensiva israeliana “Piombo fuso” su Gaza e, sempre nel 2008, era stato ferito e incarcerato dall’esercito israeliano per aver difeso quindici pescatori palestinesi che pescavano in acque internazionali. Era l’unico giornalista straniero in quella terra di fuoco, al fianco di giornalisti palestinesi che non potevano comunque comunicare. Le sue corrispondenze per “Il Manifesto” si concludevano sempre allo stesso modo: “Restiamo umani”, titolo anche di un suo libro tradotto in quattro lingue. Numerose le iniziative per ricordarlo. La prossima flottiglia in partenza a maggio per la striscia di Gaza sarà ribattezzata “Restiamo umani” e tale espressione sicuramente costituirà il leit motiv di numerose iniziative per “Vick”, come lo chiamavano gli amici. Quando, nell’ottobre scorso, Roberto Saviano, prese parte al Convegno “Per la verità! Per Israele”, organizzato a Roma dalla giornalista Fiamma Nirenstein, Arrigoni in un video-messaggio pubblicato sul suo blog gli domanda, fra l’altro: «Che differenza c’è fra Brusca che uccide un bambino nell’acido e Israele che l’anno scorso ne ha bruciati più di 350 nel fosforo bianco?», aggiungendo poi che «i diritti e la giustizia umana non sono selettivi». In questa tragica vicenda spicca la figura della madre di Vittorio, Egidia Beretta, sindaco di Bulciago che ha dichiarato: «Sono orgogliosa di lui». Gli Arrigoni sono una famiglia molto conosciuta nel paesino sulle colline della Brianza lecchese, soprattutto per il loro impegno nel sociale e in politica. Va ricordato anche, come ha affermato Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento di Strasburgo, che opera nell’ambito del coordinamento nazionale dell’Associazione per la pace, un movimento per la non violenza e la pace: «Non possiamo rimuove il fatto che le persone assassine sono palestinesi». Tutto ciò conferma, se pur ve ne fosse bisogno, come Bene e Male, ragione e torto, non possano essere separati in maniera manichea e assegnati esaustivamente all’uno o all’altro dei blocchi contrapposti. Ai due palestinesi assassini di Arrigoni e ai loro complici fa da contraltare l’israeliano Ilan Pappé, il professore dell’Università di Exeter (Regno Unito) che ha scritto l’introduzione all’edizione inglese del libro di Arrigoni. Nell’ambito della sua attività scientifica Pappé ha ricostruito la storia della nascita di Israele, dando una sua interpretazione negativa del sionismo, e per questo è in contrasto con i suoi colleghi. L’antisionismo, appunto, è quanto accomunava Pappé e Arrigoni. Per il suo pacifismo “oltranzista” Arrigoni è stato considerato persona sgradita a Israele. Analogamente a Moni Ovadia, che viene considerato “traditore” dagli ebrei e dai filo-israeliani o anti-islamici italiani. Lo stesso Moni Ovadia ha rilevato: «I mandanti non sono loro. Il mandante della violenza è l’oppressione, l’ingiustizia, il privilegio, il razzismo. [.] I mandanti morali di questo ennesimo orrore sono gli sgherri di questo status quo che si sottraggono alla giudicabilità grazie alla sconcia inerzia della vile comunità internazionale» (L’Unità, 16 aprile 2011). Mi sembra che se non riusciamo, nonostante la temperie politica e culturale ci spinga nella direzione opposta, ad accogliere l’invito di Vick Arrigoni a restare umani, la sua vita e la sua morte saranno state tragicamente inutili.

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