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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
11.11.11: la giornata di venerdì scorso – ritenuta da molti densa di eventi, di coincidenze, di segnali misteriosi ed enigmatici, comunque occasione di straordinarietà – è trascorsa carica di eventi normali, contraddittori, come contraddittoria è la vita nel suo concreto dispiegarsi. Coloro che ritenevano comunque magica questa data per il ripetersi dell’“1” continueranno a pensarlo, perché chi si ancora al magico ha un assoluto bisogno di sicurezza, che nessuna considerazione razionale può scalfire. È proprio il bisogno di sicurezza, oltre che l’implacabile morsa di una crisi economica sperimentata sulla propria pelle, che ha spinto tanti a vivere come momento di liberazione da un incubo la fine del governo Berlusconi, ritenuto fondatamente responsabile di innumerevoli omissioni, superficialità, menzogne, inadeguatezze, contraddizioni. Eppure, nei cori di insulti e fischi, nel lancio di monetine che hanno accompagnato l’uscita di Berlusconi da Palazzo Grazioli, l’ingresso al Quirinale e numerose altre manifestazioni un po’ ovunque nel Paese c’è qualcosa di più di una comprensibile esternazione di sentimenti, di indignazione. Mi sembra che, consapevolmente o meno, sia riscontrabile l’emergere di un rituale arcaico, secondo il quale viene caricato tutto il male, le negatività su qualcuno; eliminandolo si può ritenere di avere con ciò stesso superato il male, il negativo. È il meccanismo del “capro espiatorio”, sul quale si è addensata una vastissima letteratura etno-antropologica, che presiede al bruciamento del fantoccio di carnevale, al Babbo Natale suppliziato (di cui ci ha parlato Claude Lévi-Strauss in un celebre saggio), all’esecuzione simbolica di uomini politici rappresentati da pupazzi che venivano impiccati come destinatari della ferocia popolare distruttrice (ne abbiamo avuta un’ampia esemplificazione durante la rivolta di Reggio Calabria per il mancato riconoscimento del Capoluogo di Regione). Nella storia dell’ultimo secolo, sino agli anni più recenti, si è verificato più volte tale processo: da Piazzale Loreto al lancio delle monetine contro Craxi all’Hotel Raphael, dallo scempio del cadavere di Gheddafi, di cui ho parlato su queste pagine, a tanti altri episodi. La morte – reale o simbolica – di chi si abbarbica al potere sembra una Nemesi che si abbatte sul tiranno. Segno di quanto antichi rituali possono sembrare arcaici, essendo così lontani nel tempo, e nonostante questo riaffermarsi nel nostro quotidiano sottolineando una loro inaspettata attualità. Per fortuna, in questo caso, le manifestazioni di giubilo per la caduta di Berlusconi non hanno il risvolto tragico di molti degli esempi qui richiamati, segno di quanto sia vera l’espressione che la storia si presenta una prima volta come tragedia, una seconda come farsa. Va segnalata comunque la prontezza con la quale persone strappate alla nullità o alla loro ordinaria mediocrità da Berlusconi sono state così sollecite, avvertendo il suo declino, ad abbandonarlo, sempre beninteso “per il bene della Patria”. Posso comprendere perciò l’amarezza attuale di Berlusconi, anche se va comunque rammentato che “chi semina vento, raccoglie tempesta”. Basta, però, esultare per la caduta dell’Egoarca per riprendere il cammino purificati dal male e sgombri dal negativo che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio? Le cose non sono affatto così agevoli. Berlusconi ha vinto le elezioni più volte perché concausa e contemporaneamente effetto del berlusconismo, di quell’insieme di valori, cioè, sintetizzabili nell’insieme di ricchezza, potere, successo, immagine di vincente, posto come meta da perseguire a ogni costo, perché di per sé indiscutibile e fonte di assoluta legittimazione. Tutto ciò ha eroso in maniera forse irreversibile il nostro tessuto socio-culturale e ci vorrà moltissimo tempo per ricostituire un diverso ordito, un diverso ordine di valori. Finito (politicamente) Berlusconi; non finito, certo, il berlusconismo. In una situazione siffatta c’è poco da esultare. Forse, sarebbe il caso di interrogarci sulle ragioni del successo di Berlusconi, sulla profondità e la carica di attrattiva del suo populismo. Questo termine, come ha notato Margaret Canovan, «riesce a essere al tempo stesso vuoto di ogni significato preciso e ricco di accenti retorici». P.-A.Taguieff , in una tavola dei “campi di significato” del “populismo” distingue: 1) “populismo movimento”, 2) “populismo regime”, 3) “populismo ideologia”, 4) “populismo atteggiamento”, 5) “populismo retorica”, 6) “populismo tipo di legittimazione”. Se ripercorressimo la storia delle idee degli ultimi tre secoli ci accorgeremmo di quanto il populismo abbia intriso di sé sistemi di pensiero e opere pur diversamente orientati e rapportabili a categorie estremamente differenziate. Nicolao Merker ha sottolineato: «Rinchiudersi nella presunta (fideistica) semplicità dell’intuizione, ridurre la complessità dei fenomeni a qualche immaginaria causa unica ed elementare, affidarsi a un Capo carismatico e così liberarsi della difficoltà di dover capire il mondo per proprio conto, sono atteggiamenti che confliggono con l’uso di strumenti concettuali complessi ed equivalgono generalmente a una regressione al premoderno». Un’opportuna e lucida carrellata critica nella vastissima bibliografia su questa tematica la fornisce Franco Crispini nel suo recentissimo “Del Populismo – indicazioni di lettura” (Cosenza, Pellegrini, 2011). L’esaltazione così frequente del vento di primavera che è incominciato a spirare a Milano, a Napoli, in molti Paesi del Mediterraneo, il richiamo al milione e duecentomila firme per il referendum, sono forme che, pur nelle loro macroscopiche differenze, rinviano in maniera maggiore o minore a una concezione del popolo come depositario indiscutibile di verità e saggezza? Non costituiscono, forse, una forma di populismo? Lungi dall’abbandonarsi a esaltazioni di forme vecchie o nuove di populismo, occorre, a mio avviso, resistere alla tentazione della sicurezza comunque, per guadagnare quotidianamente e faticosamente l’esercizio inesausto della ragione critica, l’orgoglio e il peso di un pensiero da applicare incessantemente alle occasioni e sporgenze della nostra vita individuale e associata.

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