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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Ha ragione Joseph Ratzinger a sottolineare: “Si constata una sorta di eclissi di Dio, una certa amnesia”. Chiunque guardi alla società contemporanea, alle sue manifestazioni più appariscenti e rumorose si accorge facilmente che i valori trainanti sono quelli relativi a un successo da perseguire a tutti i costi, a un edonismo esasperato, a una reificazione di se stessi, del proprio corpo e, conseguentemente, degli altri assunti esclusivamente nella loro fisicità, a una sindrome dell’apparire da preferire sempre e comunque a un ancoraggio all’essere e al progettare. Eppure i due milioni di persone, accorsi a Madrid per le giornate mondiali della gioventù, mostrano come la dimensione religiosa sia fortemente presente, come essa continui ad avere una forte carica di aggregazione. Si è parlato tempo fa di un “ritorno” del sacro, espressione che non condivido perché presuppone un allontanamento del sacro che oggi ritornerebbe, appunto. In realtà, questo poteva apparire in un’ottica urbanocentrica, ma bastava guardare alle innumerevoli manifestazioni della religiosità popolare, alla liturgia folklorica – si pensi alle feste religiose che cadenzano il tempo di ogni centro, grande o piccolo, del nostro Paese – per rendersi conto che il sacro non si era mai allontanato. Il cattolicesimo popolare è una delle numerose forme storiche del cattolicesimo, come ha notato efficacemente Gramsci nei suoi sempre stimolanti “Quaderni del carcere”. Nella cultura popolare meridionale vi sono numerosissime leggende relative a “Quando Cristo andava per il mondo” e molte di esse sono state raccolte e pubblicate da Mariano Meligrana e da me, in un numero monografico dei “Quaderni di Ulisse”, dedicato alla figura di Cristo. Già precedentemente, Roberto Cipriani, aveva parlato, a proposito di Giuseppe Di Vittorio, del vero e proprio culto per la sua figura in Puglia, di “Cristo rosso”, sottolineando come, in numerose case di braccianti pugliesi, fossero poste accanto le immaginette di Cristo e le fotografie del sindacalista, in altarini dinanzi ai quali erano accesi lumini devozionali. Il sacro dunque permea innumerevoli manifestazioni della vita quotidiana e festiva, e il piano della religiosità si interseca continuamente con tutti gli altri piani nei quali si declina l’esperienza individuale e collettiva. Le giornate di Madrid costituiscono in ogni caso un evento importante, sia perché in esse la Chiesa ufficiale ha parlato della necessità di una politica giusta, della possibilità di utilizzare per il miglioramento della vita tutte le tecnologie contemporanee; sia per l’ampiezza e la qualità dell’entusiasmo giovanile. Troppo spesso i giovani vengono presentati come superficiali, aspiranti soltanto ad essere assunti dalle televisioni come veline o protagonisti del Grande Fratello e di analoghe, oscene, trasmissioni, in ogni caso interessati esclusivamente a cose frivole e senza alcuno spessore. A me sembra che la superficialità dei giovani sia l’alibi per la nostra pigrizia, per legittimare il nostro disimpegno, il nostro non voler proporre loro discorsi di spessore, culturalmente fondati. Con la mia esperienza quotidiana nelle università ho modo di constatare quanta serietà cadenzi la vita giovanile, quanto impegno marchi la loro presenza in università, semmai ignorate e vilipese colpevolmente dalle autorità governative, a cominciare dalla assolutamente inadeguata ministra Gelmini. Non è un caso che Giorgio Napolitano, che resta il più prestigioso punto di riferimento in uno scenario politico italiano così affollato da figure squallide e inadeguate, nel suo recente discorso al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, ha invitato i giovani presenti: “non fatevi condizionare da quel che si è sedimentato in meno di due decenni: chiusure, arroccamenti, faziosità, obiettivi di potere, personalismi dilaganti. Apritevi all’incontro con interlocutori rappresentativi di altre e diverse radici culturali. Portate, nel tempo dell’incertezza, il vostro anelito di certezza”. Chi volesse però far discendere dai due milioni di devoti accorsi a Madrid lo spazio per la ripresa di un partito cattolico, a somiglianza di quello che a metà del secolo scorso assicurò alla Democrazia Cristiana vittorie elettorali e successivi decenni di governo, sbaglierebbe di molto. La società italiana è profondamente cambiata dagli anni della Madonna pellegrina, dei comitati civici di Gedda, dal terrorismo predicatorio per cui “nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”, o della “lettera di Stalin dall’inferno” nella quale il dittatore sovietico si dichiara pentito per i suoi orrendi crimini, tra l’altro effettivamente commessi. Non ho alcuna nostalgia per quegli anni, né per l’uso politico che in essi venne fatto di tragedie storiche, quali quelle dello stalinismo. Molta parte dei giovani è accorsa a Madrid dal Papa, e molta parte dei giovani permane laica, rispettosa semmai della religiosità altrui, ma pervasa da un’eticità diversa. Sia gli uni che gli altri, nella loro vita emotiva, erotica, sono guidati da parametri personali, non coincidenti con i dettami del cattolicesimo vaticano (si pensi, ad esempio, al numero crescente delle convivenze, all’adesione alle innumerevoli forme di solidarietà, che vengono praticate, oltre che da organizzazioni ecclesiastiche, da associazioni laiche, e così via). Molti dei giovani delle giornate di Madrid testimoniano concretamente che per loro Dio è l’Altro, che il loro amore per Lui si manifesta in una concreta risposta ai bisogni dell’altro storicamente determinato, sia immigrato, rom, o semplicemente povero. Molti di loro, italiani e di altri Paesi, durante l’anno si impegnano settimanalmente a distribuire la cena ai poveri, come Antonio a Porta Pia a Roma, a fare catechismo ai figli di immigrati per favorire la loro integrazione, come Lucia a Caserta, a distribuire cibo e soccorsi di vario genere, come Irene ad Anversa e come tanti, tanti altri per i quali solidarietà, amore cristiano costituiscono espressioni concrete e dense di indicazioni realistiche, non soltanto mere proclamazioni retoriche. Del resto, l’altissimo messaggio di Cristo nei Vangeli è proprio nella identificazione tra Sé e l’Altro, ché “qualunque cosa avrete fatto per il più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me”. Nessun orgoglio di egemonia politica cattolica, dunque, ma un più sommesso invito a vivere il Cristo nella quotidianità, nel raccoglimento, nello slancio verso il nostro fratello, specie il più derelitto, il più emarginato.

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