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PALMI – Più di duecento anni di carcere. A tanto ammontano complessivamente le richieste di condanna effettuate ai giudici del Tribunale di Palmi da parte del Pm della Dda di Reggio Calabria. Alessandra Cerreti, al termine della sua requisitoria nell’ambito del processo “Califfo”. Il procedimento, che prende il nome dalle distinte operazioni “Califfo” e “Califfo 2″, vede alla sbarra, oltre al boss Giuseppe Pesce, successore del fratello Francesco alla guida dell’omonima ‘ndrina, presunti affiliati che, con responsabilità e ruoli diversi, avrebbero favorito l’attività illecita della cosca e la latitanza degli esponenti di vertice del sodalizio criminale. La richiesta più pesante è arrivata proprio nei confronti del giovane boss Giuseppe Pesce, per il quale il Pm ha chiesto ventisette anni di reclusione. Richieste pesanti anche per i presunti uomini di fiduciadel clan per i quali la Cerreti ha chiesto pene che variano dai quattordici (pena richiesta per Ilaria Bellocco, moglie di Giuseppe Pesce) ai diciotto anni di reclusione. Le indagini hanno preso il via dal sequestro del ” pizzino” con il quale Francesco Pesce, pochi giorni dopo il suo arresto avvenuto nell’agosto del 2011, aveva cercato di far arrivare all’esterno del carcere di Palmi le disposizioni utili alla prosecuzione delle attività della ‘ndrina anche dopo il suo arresto. Un documento dalla straordinaria valenza investigativa attraverso il quale il boss “Ciccio Testuni” aveva sancito il passaggio del “bastone del comando” al fratello Giuseppe, all’epoca anch’egli latitante (“fiore a mio fratello” questa la frase che nell’interpretazione degli investigatori indicherebbe la successione al comando della cosca). Lunedí prossimo toccherà alla difesa prendere la parola mentre la sentenza dei giudici dovrebbe arrivare per la fine della settimana prossima. Parti civili nel processo sono il Ministero dell’Interno, la Regione Calabria, la Provincia di Reggio Calabria e il Comune di Rosarno.

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