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POTENZA – “In tribuna, in tribuna, corri”.  E tutti giù, verso il fondo dello stadio Viviani che ospita i figuranti vestiti di tutto punto per la Parata Storica dei Turchi.

È la festa della città di Potenza e del suo patrono. “Magari San Gerardo fa il suo solito miracolo”. Il raduno nel campo di calcio cittadino serve a preparare turchi, tamburini, odalische, i portatori dei cinti, del tempietto e della iaccara, i borghesi dell’Ottocento, i prelati medievali. Tutti in ordine, prima del corteo. «Ma la pioggia così, accidenti non ci voleva».

Allo stadio, come di nuovo da tre anni a questa parte, comincia la lunga scalata verso il centro, verso via Pretoria e verso la Cattedrale.  Lungo un corteo diviso in tre quadri si snodano le immagini di momenti diversi della vita potentina, che hanno per protagonista il suo Santo protettore o solo una suggestione, un richiamo a San Gerardo. 

L’organizzazione della festa è una macchina complessa che tiene dentro associazioni, istituzioni, volontari, cittadini, stranieri di passaggio. E la Parata dei Turchi è l’evento che chiude i festeggiamenti prima che la notte lasci lo spazio alla veglia di preghiera.

Il corteo racconta della Potenza descritta dallo storico Riviello, dei contadini e dei borghesi in festa. Racconta di quando Gerardo divenne vescovo di Potenza nel 1.100 e fu così amato  da diventarne, pochi anni, dopo il Santo patrono per acclamazione popolare. Racconta di quando il conte Guevara entrò nella città.

La pioggia costringe tutti a cercare riparo, a ritardare posizionamenti, a chiedersi: ma si partirà? I costumi, le canzoni, la musica battuta forte sui tamburi sono racchiusi sotto il tetto del Viviani. «È sì che qui siamo abituati al brutto tempo del 29 maggio, ma accidenti così forte la pioggia non ci voleva».

Quando si fa largo un raggio di sole, il momento sembra perfetto. «Approfittiamone». La squadra comunale, i volontari e il comitato scientifico si mescolano ai figuranti, coordinano, dirigono. In fila, con lentezza, un po’ di caos, «dai che San Gerardo ha rifatto il miracolo».

Il tempietto sarà l’ultimo a lasciare lo stadio; in testa il cinto di San Gerardo, poi la iaccara, quel fascio di canne lungo e pesante da bruciare a notte fonda, i carri, i figuranti. Ma questa volta si sorride di meno. Qualcuno si è accorto di quelle due ragazze che piangevano forte, di quel figurante sbiancato di colpo. Ad alcuni di loro è arrivata la notizia brutta, terribile dell’incidente a contrada Cavaliere. Fabio lo conoscevano, lo hanno perso nel giorno in cui la città dovrebbe festeggiare. 

In salita si cammina piano, contro il freddo, sfidando i nuvoloni. Per chi porta in spalla il peso della devozione la salita è un gesto di dedizione al Santo e alla città. Per tutti, è un momento di partecipazione, di gioco, di tempo offerto alla città.

Si tira dritto, fino a porta Salza. È lì che il mastro giurato cede le chiavi di Potenza al conte Guevara. Ma solo per finta, che la città è libera, San Gerardo veglia.

Una volta in cima, ci si disperde. La Parata è finita, tocca alla preghiera. E mentre c’è chi issa la iaccara in piazza Sedile perché bruci come buon auspico, nel piazzale della Cattedrale sono già tutti con il naso all’insù, alla statua del patrono esposta sulla scalinata. «San Gerardo, se puoi, veglia tu».

s.lorusso@luedi.it

 

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