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TORINO – Parte il processo Minotauro e arrivano al pettine i nodi dei rapporti fra la ‘ndrangheta e la politica piemontese. La Procura di Torino intende chiamare a testimoniare nell’aula bunker delle Vallette, dove oggi si è aperto il più grande dibattimento di criminalità organizzata degli ultimi quindici anni in Piemonte, un manipolo di deputati, sindaci e consiglieri regionali: l’obiettivo è dimostrare che le cosche (o meglio le «locali», per usare il lessico delle bande calabresi) hanno tentato di condizionare il voto dei torinesi orchestrando, in alcuni casi, persino gli appuntamenti della propaganda elettorale. Gli imputati sono 75 (e altrettanti sono già stati giudicati e condannati nei giorni scorsi con il rito abbreviato) per reati che, oltre all’associazione di stampo mafioso, vanno dalle armi all’estorsione al favoreggiamento dei latitanti. L’unico politico è Nevio Coral, imprenditore, per tanti anni sindaco di Leini e, al momento dell’apertura dell’inchiesta, consigliere comunale a Volpiano. I due Comuni si sono costituiti parte civile contro di lui. Fra i politici citati dai pm nella veste di testimoni figura Claudia Porchietto, assessore regionale al lavoro, alla quale i magistrati intendono porre domande sui motivi per i quali ha conosciuto alcuni imputati e su un incontro avvenuto in un bar di Torino nel 2009 durante la campagna per le elezioni provinciali. Poi ci sono due deputati, Gaetano Porcino (Idv) e Domenico Lucà (Pd), il consigliere regionale Antonino Boeti, il consigliere comunale torinese Giovanni Porcino (Idv), i sindaci Francesco Brizio (Ciriè) e Paolo Mascheroni (Castellamonte). Compare anche un sacerdote, Pierino Stevarengo, Cappellano del carcere delle Vallette, che dovrà chiarire degli aspetti legati allo scambio di bigliettini fra imputati detenuti. Oggi hanno chiesto di costituirsi parte civile la Regione, la Provincia di Torino, le amministrazioni di Chivasso e Moncalieri (oltre che Leini e Volpiano) e l’associazione antimafia Libera. La parola è poi passata agli avvocati per la consueta raffica di questioni preliminari. Numerose le richieste degli avvocati difensori, a cominciare da quella relativa all’inamissibilità a vario titolo delle domande di costituzione di parte civile avanzate dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino, dai comuni di Torino, Leini, Volpiano, Chivasso e Moncalieri, e dell’associazione Libera. Tra le richieste della difesa spicca su tutte quella di trasferire il processo in altre sedi, e in particolare a Reggio Calabria. Secondo uno dei legali, stando alla carte dell’inchiesta, la Calabria sarebbe il territorio di competenza perchè rappresenterebbe il centro da cui si sarebbero diramate le attività in Piemonte, e da cui occorreva ottenere l’autorizzazione per aprire nuove cellule della ‘ndrangheta e conferire le ‘dotì agli affiliati. Oltre alla richiesta di trasferire il processo a Reggio Calabria ne spicca una di annullamento del decreto di rinvio a giudizio: l’avvocato, in aula, ha detto che, non essendo state tradotte in italiano alcune intercettazioni dal dialetto calabrese, all’udienza preliminare non era in grado di capire se gli conveniva scegliere o meno il rito abbreviato. Al termine dell’udienza il processo è stato aggiornato al 26 ottobre. 

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