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POTENZA – Resterà ai domiciliari Pasquale Marino, il 40enne considerato vicino al clan Riviezzi arrestato domenica sera con l’accusa di tentato omicidio dopo una lite davanti a un bar del centro del paese.

Lo ha deciso il gip del Tribunale di Potenza che ieri mattina lo ha interrogato in carcere accogliendo solo in parte le richieste del pm Sergio Marotta che per lui aveva chiesto il carcere.

Assistito dal suo legale, l’avvocato Rosanna Agatiello, Marino ha spiegato ai magistrati di aver colpito al termine di una discussione per futili motivi in cui si è sentito provocato. Inoltre ha aggiunto di aver avuto «paura» dopo aver ingaggiato uno scontro fisico con la sua “vittima”, un coetaneo di Pignola senza fissa occupazione con precedenti penali di poco conto. Scontro di cui riporta ancora i segni visibili sul corpo.

Il gip non ha convalidato neppure il fermo effettuato nei suoi confronti, qualche ora dopo il fattaccio, dai carabinieri che l’avevano raggiunto nella sua casa di campagna, dove si era rifugiato “abbandonando” moglie e due figli piccoli a casa del suocero in paese. Dunque nessun pericolo di fuga. «Marino non è una persona litigiosa – spiega l’avvocato Agatiello contattato dal Quotidiano – e l’arma di cui si parla era soltanto un temperino che usava per andare nei boschi. E’ andato a stare in campagna non per scappare ma soltanto per non traumatizzare i bimbi sapendo che cosa sarebbe potuto succedere».

Di professione boscaiolo, Marino è stato condannato a luglio dell’anno scorso a 9 anni come appartenente del clan di Saverio Riviezzi, ex pugile e boscaiolo a sua volta, considerato l’ultimo boss potentino dei vecchi basilischi, assieme al fratello di Riviezzi e altre due persone. Stando alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia in passato avrebbe trafficato droga e armi per conto della “famiglia”, e all’occasione si sarebbe messo a disposizione anche per portare soldi al boss detenuto. Inoltre avrebbe condiviso sempre con Riviezzi anche un periodo di latitanza all’epoca del blitz della prima inchiesta contro la “quinta mafia”. Insomma un uomo di fiducia del boss, forse l’ultimo rimasto in libertà dopo gli arresti dell’operazione double face, a febbraio del 2010, poi confermati dal Riesame e dalla sentenza di primo grado di luglio del 2012.

l.amato@luedi.it

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