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HAPPY, funny, loving, cooperative and creative. Ovvero, essere felici, divertenti, gentili o amorevoli, cooperativi e creativi. Patch Adams ha deciso di essere questo nella vita. Una vita da «clown medico», come lui stesso tiene a precisare, «e non da medico clown». Abbigliamento strambo e colorato, capelli lunghi tinti per una parte di blu e arnesi del mestiere a portata di tasca: dentiere strane, occhiali stravaganti, “mocci” finti che cadono dal naso.
Ha raccontato sé stesso l’altra sera a Potenza sul palco del cineteatro Due Torri in un incontro promosso dalla Mediolanum Corporate University (Mcu) nel programma “Centodieci è Ispirazione”, il ciclo di incontri che l’istituto educativo di Banca Mediolanum dedica alla propria community con l’intento di favorire il contatto diretto con personalità che incarnano modelli d’eccellenza in diversi settori professionali.
Da qui l’incontro con Hunter Doherty Adams, detto “Patch” (cerotto), medico, attivista e scrittore che ha dedicato la sua vita allo studio dell’essere umano sotto ogni aspetto e alla creazione di un sistema sanitario che non discrimini i più svantaggiati. Spalleggiato da Cristina, che fa da interprete ma che è anche collaboratrice di Patch per la realizzazione di un progetto per l’introduzione nelle scuole dell’ “educazione alla cura”, instaura un contatto diretto con la gente in sala come se ciascuno fosse nella casa dove da 51 anni svolge la professione di medico di famiglia gratuitamente, per coloro che non possono permettersi una copertura assicurativa e pertanto non hanno diritto all’assistenza sanitaria.
I suoi colloqui durano 4 ore e non 6 o 7 minuti come gli hanno insegnato all’università. Dove non gli hanno nemmeno insegnato che la prima malattia di ciascun paziente è la mancanza di autostima, che la depressione non è una malattia ma il sintomo della solitudine e che nessun medico dice mai che la medicina più necessaria è mantenersi in forma, mangiare bene e condurre stili di vita sani.
Ed ecco, quindi, organizzare qualche giorno a settimana delle serate danzanti per i suoi pazienti – perchè per fare un po’ di moto non ci vuole molto – e invitare ad alcuni esercizi di autostima, come gridare in strada saltellando “I love me”, “Io mi voglio bene”.
Ed è stato un insolito spettacolo vedere la gente, al Due Torri, invadere il palco e improvvisare un rock’n roll. Oppure accennare, per alcuni, un timido “I love me”. E ancora, stringersi in un lungo abbraccio con l’estraneo affianco. Questa è la ricetta che Adams prescrive a chiunque, a prescindere dalla “diagnosi” medica: una serie di esercizi d’amore. «L’amore – ha detto – non è un sentimento, ma un’azione d’intelligenza».
E’ in queste considerazioni, maturate nell’Adams bambino, orfano di padre, adolescente difficile che tenta tre volte il suicidio, cittadino attivo presente al discorso di Mandela, paziente psichiatrico, studente in medicina e poi medico, che prende le mosse quella che comunemente viene chiamata “terapia del sorriso” alla quale però Patch non fa mai riferimento in modo così esplicito.
Si tratta, in realtà, non di un modello da applicare ma di un modo di approcciarsi alla vita e quindi anche alla morte. Un insegnamento che va al di là delle corsie d’ospedale e delle sofferenze fisiche. Di storie da raccontare Patch ne ha tante, alcune molto toccanti, che vanno dai contesti di guerra agli stupri fino ai terminali di cancro. Su tutte, una riguarda proprio la Basilicata e il reparto di pediatria del San Carlo di Potenza che ha visitato la mattina dell’incontro. Una ragazzina di 14 anni il giorno dopo la sua venuta avrebbe dovuto sottoporsi a un esame molto importante. La mamma era comprensibilmente più agitata di lei. Questa ragazzina ha preso il cappello a forma di gallina di Patch, il suo scettro di pesce di plastica e il suo naso rosso e ha divertito tutti i bambini del reparto, compresi i più piccoli che avevano allontanato Patch. «Ecco – direbbe Patch – questa è la potenza dei singoli. Il mio messaggio per voi è: siate divertenti».

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