X
<
>

Condividi:
5 minuti per la lettura

di ANTONIO ANASTASI
CROTONE – «Una provocazione». Così il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura spiega la  scelta di partecipare domani, senza scorta, al circolo Arci di Lodi Vecchio, nella Lombardia infestata dalla ‘ndrangheta, a un convegno. “Conversazioni col pentito”. Un evento che ruota attorno alla presentazione del libro di Fabio Abati “C’era una volta la Lombardia”. Un libro che racconta “Storie di un mandamento di ‘ndrangheta fatto di corruzione e politica spregiudicata”. La provocazione, dal punto di vista di Bonaventura, consiste nel fatto di metterci la faccia. In barba alle richieste di effettiva mimetizzazione che da tempo il collaboratore di giustizia fa allo Stato ritenendo carente il programma di protezione al quale è sottoposto a Termoli, ex oasi felice in un Molise sempre più infiltrato dalla ‘ndrangheta. Ma la scorta a Bonaventura la concedono soltanto in occasione di impegni giudiziari nei Tribunali di mezza Italia nei quali sta testimoniando, non certo per partecipare a un convegno. 
Una contraddizione rispetto agli appelli volti a ottenere il trasferimento dalla cosiddetta località protetta di Termoli, ma con modalità che, secondo il pentito, non sono quelle previste dalla Commissione centrale per i collaboratori di giustizia? «Nient’affatto – spiega Bonaventura – è meglio che sia io  prestare il fianco piuttosto che la mia famiglia, e se la fucilata deve arrivare, che arrivi pure, tanto lo Stato mi vuole morto». Eccola,  la provocazione. Eppure l’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano  chiedeva maggiore tutela. «Anche se non ho ancora formalizzato la richiesta – spiega ancora  – ho proposto la risoluzione del programma alla Commissione centrale e il mio trasferimento all’estero. A questo punto – rincara la dose – sono io che non voglio più  protezione». E allora perché continuare a chiedere la scorta? «Una provocazione», ribadisce il pentito. Perché «la proposta della Commissione in seguito alla decisione del Consiglio di Stato che impone la mimetizzazione è stata quella di trasferirmi in località dove si trovano esponenti delle cosche che mi vogliono morto. Come i Ferrazzo di Mesoraca o i Mancuso di Limbadi o uomini che facevano parte della mia ‘ndrina». 
Insomma, piuttosto che andare al macello, Bonaventura preferisce confrontarsi sui temi antimafia con i giovani, anche se c’è da rischiare. «Almeno faccio qualcosa di socialmente utile. E poi – aggiunge – per me quest’esperienza è importante a livello esistenziale, perché se mi hanno invitato vuol dire che c’è gente che sente il bisogno di stringersi attorno ai collaboratori di giustizia». Nessuna violazione degli obblighi inerenti il programma, secondo il pentito. «Non sono un ergastolano. Sono un uomo libero. Non ho riportato pene definitive né sono sottoposto a misure di prevenzione». 
a. a.

CROTONE – «Una provocazione». Così il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura spiega la  scelta di partecipare domani, senza scorta, al circolo Arci di Lodi Vecchio, nella Lombardia infestata dalla ‘ndrangheta, a un convegno. “Conversazioni col pentito”. Un evento che ruota attorno alla presentazione del libro di Fabio Abati “C’era una volta la Lombardia”. Un libro che racconta “Storie di un mandamento di ‘ndrangheta fatto di corruzione e politica spregiudicata”. La provocazione, dal punto di vista di Bonaventura, consiste nel fatto di metterci la faccia. In barba alle richieste di effettiva mimetizzazione che da tempo il collaboratore di giustizia fa allo Stato ritenendo carente il programma di protezione al quale è sottoposto a Termoli, ex oasi felice in un Molise sempre più infiltrato dalla ‘ndrangheta. Ma la scorta a Bonaventura la concedono soltanto in occasione di impegni giudiziari nei Tribunali di mezza Italia nei quali sta testimoniando, non certo per partecipare a un convegno. Una contraddizione rispetto agli appelli volti a ottenere il trasferimento dalla cosiddetta località protetta di Termoli, ma con modalità che, secondo il pentito, non sono quelle previste dalla Commissione centrale per i collaboratori di giustizia? «Nient’affatto – spiega Bonaventura – è meglio che sia io  prestare il fianco piuttosto che la mia famiglia, e se la fucilata deve arrivare, che arrivi pure, tanto lo Stato mi vuole morto». Eccola,  la provocazione. Eppure l’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano  chiedeva maggiore tutela. «Anche se non ho ancora formalizzato la richiesta – spiega ancora  – ho proposto la risoluzione del programma alla Commissione centrale e il mio trasferimento all’estero. A questo punto – rincara la dose – sono io che non voglio più  protezione». E allora perché continuare a chiedere la scorta? «Una provocazione», ribadisce il pentito. Perché «la proposta della Commissione in seguito alla decisione del Consiglio di Stato che impone la mimetizzazione è stata quella di trasferirmi in località dove si trovano esponenti delle cosche che mi vogliono morto. Come i Ferrazzo di Mesoraca o i Mancuso di Limbadi o uomini che facevano parte della mia ‘ndrina». Insomma, piuttosto che andare al macello, Bonaventura preferisce confrontarsi sui temi antimafia con i giovani, anche se c’è da rischiare. «Almeno faccio qualcosa di socialmente utile. E poi – aggiunge – per me quest’esperienza è importante a livello esistenziale, perché se mi hanno invitato vuol dire che c’è gente che sente il bisogno di stringersi attorno ai collaboratori di giustizia». Nessuna violazione degli obblighi inerenti il programma, secondo il pentito. «Non sono un ergastolano. Sono un uomo libero. Non ho riportato pene definitive né sono sottoposto a misure di prevenzione».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE