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CATANZARO – Un licenziamento illegittimo e discriminatorio. Lo aveva detto il giudice della prima sezione del Tribunale civile di Catanzaro (Controversie di lavoro e Previdenza), Paola Ciriaco. Lo ribadisce oggi la Corte d’appello di Catanzaro, presieduta da Emilio Sirianni. Che, nell’accogliere la tesi sostenuta da un’infermiera trentaduenne di Catanzaro per voce dell’avvocato Francesco Pitaro, rigetta il ricorso inutilmente presentato dalla clinica Villa Serena, condannando la società proprietaria della struttura sanitaria anche al pagamento delle spese legali. Per P. B., dunque, la battaglia è vinta. Con in tasca una sentenza nella quale la Corte scrive a chiare lettere che non si può dubitare della nullità del licenziamento, «in quanto l’applicazione del criterio legale delle esigenze tecnico-organizzativo e produttive fatta dalla odierna appellante e sopra descritta è certamente discriminatoria per ragioni attinenti al sesso». 

Proprio come sostengono l’infermiera e il suo legale da oltre due anni, ovvero da quando il 28 novembre del 2011 la donna, insieme ad altre 15 colleghe, si era vista dare il ben servito dalla struttura sanitaria catanzarese presso la quale prestava servizio da sei lunghi anni. Licenziamento che, a distanza di un anno, era stato annullato dal Tribunale, con tanto di reintegro immediato e risarcimento dei danni pari alla retribuzione globale dovuta fino al momento del ritorno sul posto di lavoro. Sentenza che, tuttavia, non era stata tenuta in alcuna considerazione da Villa Serena, che, peraltro, nel momento di procedere alla selezione dei nominativi dei dipendenti da mettere in mobilità, aveva attribuito un maggiore punteggio agli infermieri professionali di sesso maschile (3 punti), in relazione alle esigenze tecnico produttive e organizzative per accreditamento e qualità delle prestazioni, e un punteggio pari a zero alle donne. 
Da qui la natura discriminatoria contestata nel ricorso dall’avvocato Pitaro, a parere del quale, rispetto a questo primo criterio, la “Cagi spa” non aveva dato in alcun modo conto delle modalità applicative dello stesso, limitandosi a fare esplicito riferimento alla necessità di “garantire nella turnazione un’equilibrata presenza per genere”, mantenendo in servizio gli infermieri uomini rispetto alle donne. Per il legale, dunque, si trattava di un elemento discrezionale, che non può essere oggetto di controllo e verifica da parte degli interessati, come la legge impone, così da fare apparire l’operato del datore di lavoro totalmente illegittimo. Conclusione analoga a quella tratta rispetto al secondo criterio seguito dalla “Cagi spa” nel caso specifico della ricorrente, che, nonostante la parità di punteggio con un’altra collega nell’individuazione dei dipendenti da licenziare, era stata scelta solo perché “lavoratrice più giovane e quindi in grado di trovare più agevolmente altra collocazione”, nonostante la differenza di età fosse solo di un anno e, soprattutto, senza tenere in alcun conto il punteggio per titoli di studio e specializzazioni che le avrebbero assicurato il posto di lavoro, che, invece, ha perso sulla base di quelli che l’avvocato Pitaro definisce “criteri abnormi”. Immediato era stato l’appello proposto dall’avvocato Giovambattista Agosto, che, costituendosi in giudizio, aveva negato qualsiasi discriminazione di genere nell’applicazione del criterio di scelta, assumendo che l’attribuzione di 3 punti agli infermieri e di nessun punto alle infermiere sarebbe stata giustificata dalla «differente forza fisica necessaria nella gestione dei pazienti alfine di spostarli dal proprio letto per collocarli sui lettini da portare in sala operatoria e per aiutarli a svolgere le funzioni della vita quotidiana, facendoli alzare e coricare». 
Quanto al titolo di studio, invece, assumeva che il fatto di non avere attribuito alcun punteggio non avesse avuto alcuna influenza nella scelta degli infermieri da licenziare, posto che, essendo tutti gli infermieri muniti di laurea breve, il punteggio da attribuire sarebbe stato per tutti il medesimo, con la conseguenza che nulla sarebbe mutato nella graduatoria. Ma nulla ha convinto i giudici della Corte d’appello, che hanno rigettato una volta per tutte il ricorso della Cagi spa.
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