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PALLAGORIO (CROTONE) – «Cosa stanno aspettando per farle il taglio cesareo?». E’ uno degli interrogativi contenuti nella denuncia presentata presso la Squadra Mobile della Questura di Cosenza dal papà della piccola Gaia, Giovanni Arturo Raffa, di 29 anni, di Pallagorio, la cui moglie, l’albanese Alma Marashi, di 27 anni, ha dato alla luce la piccola Gaia, morta alle 3 di domenica scorsa, dopo 36 ore di lotta disperata, per aspirazione di meconio, ovvero liquido amniotico misto alle feci del neonato (è il materiale contenuto nell’intestino del feto).

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Quell’interrogativo riportato in sede di querela lo aveva rivolto al papà la ginecologa con studio a Cariati che esercita la professione medica anche presso l’ospedale di Corigliano e ha seguito la giovane mamma durante la gravidanza. E’ uno degli interrogativi su cui dovrà far luce la Procura di Cosenza, che ha avviato un’indagine e ha disposto l’autopsia, che sarà eseguita nei prossimi giorni.

A quella dottoressa, Raffa aveva spiegato che tutto procedeva normalmente, secondo quanto riferito dai medici dell’ospedale di Corigliano, e che sua moglie avvertiva già una certa dilatazione.

Ma andiamo con ordine. Il parto era previsto il 12 settembre scorso, dopo una serie di controlli da cui non erano emersi problemi significativi. Il papà di Gaia e sua moglie sono andati lo scorso 9 settembre in ospedale a Corigliano per un controllo programmato, anche se avevano sbagliato data in quanto la dottoressa che seguiva il caso sarebbe stata in servizio il giorno dopo, ma è stato il primario stesso a eseguire la visita al termine della quale, in seguito a una leggera dilatazione dell’utero, la donna è stata ricoverata. Il giorno seguente, la visita che, appunto, era già programmata. «Ci sono tutti i presupposti per un parto naturale bellissimo», il responso. Successivamente il medico di turno ha deciso di procedere ad una stimolazione mediante l’applicazione per dodici ore di un apparecchio sanitario. Contestualmente, sono stati eseguiti tracciati ogni quattro ore dai quali non sono emerse anomalie. Intorno alle 22 del 10 settembre è stato rimosso l’apparecchio e dopo un quarto d’ora sono iniziati i dolori del parto.

Intorno alle 3 dell’11, «mia moglie – racconta il papà di Gaia – ha iniziato ad avvertire dolori che definiva “strani”, comunque diversi da quelli avvertiti prima». Erano dolori all’addome, «persistenti e non intermittenti». Al termine della visita del medico di turno, è stato deciso il trasferimento in sala parto, avvenuto alle 5,30. Alle 10 la telefonata nel corso della quale la ginecologa ipotizzava che poteva essersi trattato di stress respiratorio e comunque si chiedeva cosa si stesse aspettando per il cesareo. «Dopo circa dieci minuti – prosegue il papà di Gaia – mi ha contattato sulla mia utenza cellulare e mi ha rassicurato dicendomi che i sanitari le avevano riferito che stavano aspettando la completa dilatazione prima di far partorire mia moglie».

Ma alle 11 il denunciante, insieme a sua madre, nota che un’infermiera esce dal reparto di ginecologia con in mano una culletta termica, per recarsi al piano superiore, dove è la sala operatoria. La spiegazione fornita dai medici? Si trattava di un parto sofferto ed era necessario trasferire la bimba a Cosenza. Ecco cosa avrebbe detto il primario, secondo quanto riportato nella denuncia: «la bambina non respirava bene e dalla bocca le usciva muco di colore verde». Il trasferimento è avvenuto in elisoccorso, e subito dopo il papà di Gaia ha contattato telefonicamente il medico di fiducia che ha precisato che alla bimba era stato trovato in bocca «liquido amniotico tinto, cioè misto alle feci» e che il trasferimento era stato predisposto per «eccesso di precauzione» e per meglio aspirare i muchi. Quando il papà è arrivato nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Cosenza, ha trovato sua figlia con la mascherina dell’ossigeno e un tubicino in bocca, mentre un’infermiera tentava di darle la “tettarella”. L’infermiera doveva stare molto attenta perché la bimba si muoveva e avrebbe potuto togliersi il tubicino. Da un nuovo colloquio è emerso che i medici valutavano se intubare Gaia.

La situazione è andata via via peggiorando e, da un ulteriore colloquio con una dottoressa, alle 12,30 del 12 settembre, è venuto fuori che la bimba era in condizioni critiche perché aveva bisogno di parecchio ossigeno. La dottoressa ha aggiunto anche che la situazione era talmente critica da aver deciso di far battezzare la bimba col rito cattolico. Il decesso è avvenuto alle 3 di domenica.

Intanto, il dipartimento Salute della Regione Calabria ha avviato un’inchiesta interna, sollecitando relazioni ai primari dei reparti di Neonatologia dei due ospedali in cui la bimba è stata ricoverata, quelli di Cosenza e Corigliano. Sono stati già sentiti alcuni medici del 118 di Cosenza che sono stati impegnati nel trasferimento mediante elisoccorso. In particolare, si cerca di appurare se il meconio sia stato aspirato correttamente.

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