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BERNALDA – E’ una vicenda paradossale, fatta di incuria e superficialità, quella che ha portato ad allagare per ben tre volte in cinque anni l’area archeologica di Metaponto e gli scavi, che rappresentano l’identità della Basilicata e dell’intero Paese.

Mentre a Metaponto le idrovore stanno svuotando per l’ennesima volta l’antica Agorà, ridotta a bacino di contenimento per l’esondazione del fiume Bradano, è tempo di iniziare a riflettere sulle cause che hanno trasformato una normale zona alluvionale, la stessa che fu diverse volte bonificata a partire dai Greci fino all’epoca fascista, in territorio di sfogo della violenza di un fiume.

C’è l’opera dell’uomo dietro tutto ciò che accade nell’area archeologica, è inutile prendersela col Padreterno. Ecco perchè le istituzioni, a cui il Quotidiano si sta appellando da giorni, per la verità senza ricevere particolari e forti reazioni, hanno una responsabilità determinante in ciò che sta accadendo ciclicamente. Il naturale fenomeno alluvionale, insomma, è altra cosa rispetto a quanto accaduto il 7 ottobre scorso e il 1 marzo 2011, solo per rimanere agli episodi più recenti.

Il problema sta tutto nella cronica e colposa alterazione del corso del fiume Bradano.

Ne è convinto, a ragion veduta, l’ex consigliere comunale di Bernalda Vincenzo Grippo, residente a Metaponto e testimone di tanti passaggi cruciali nella realizzazione di opere infrastrutturali, che oggi sono concause del disastro. Ma c’è anche un’ordinaria storia di abusi e superficialità, delle istituzioni competenti nella gestione del territorio.

«Ho letto la proposta fatta dal disaster manager Pio Acito, di realizzare delle vasche di contenimento a monte dell’area alluvionale. E’ bene sapere -spiega Grippo- che già in fase di realizzazione della diga di San Giuliano, furono progettate ed individuate una serie di sacche golenali di contenimento lungo il corso del Bradano, che appartenenevano al Demanio fluviale e dove non si potevano assolutamente realizzare colture arboree, ma solo eventualmente orti e piccole coltivazioni, in quanto la terra doveva servire per l’assorbimento della violenza del fiume, in caso di eventuale piena.

Poi, in barba a tutte le regole, questi terreni golenali sono stati adibiti a colture arboree abusive o legali, perchè in molti casi lo stesso Demanio le ha concesse.

Il risultato è un corso fluviale ristretto, che in caso di piena contribuisce ad aumentare la violenza dell’acqua, senza uno sfogo se non a valle, dove gli argini si sono indeboliti e tutto scarica tra Metaponto borgo e l’area archeologica».

A questo, come se non bastasse, si sono aggiunte opere infrastrutturali recenti, come il ponte sulla Statale 106 jonica.

«Oggi -prosegue Grippo- da Montescaglioso in giù, ci sono precise responsabilità di quanto accade, tra Consorzo di bonifica che non fa la manutenzione ordinaria dei canali e Anas, che non ha rispettato le quote altimetriche e soprattutto la Regione Basilicata, che non ha rispettato le prescrizioni dell’Autorità di Bacino. Infatti, l’ex dirigente Vita aveva individuato la situazione di criticità che c’era a ridosso del ponte Ss 106, dove il fiume si divide, allagando Metaponto da un lato e l’area archeologica dall’altro; ecco perchè c’era la prescrizione di aumentare la quota della Statale, chiudere il sottopasso nei pressi del villaggio Metatur ed alzare di un  metro la base della strada ferrata. Solo Rete ferroviaria osservò la prescrizione, di tutto il resto non si fece nulla, con l’aggravante di alzare l’argine del fiume a protezione della strada, facendolo inevitabilmente sfogare altrove. Quindi, in assenza di un’area golenale a valle, anzi per aver realizzato un autentico imbuto, il fiume sfoga dove non dovrebbe e le conseguenze sono ormai più che prevedibili. Le istituzioni competenti, compresa la Prefettura, sono al corrente di questa situazione di rischio, ma nulla sta cambiando, nonostante i 4 morti dei giorni scorsi».

Un dato evidente ed allarmante, che dovrebbe far riflettere chi si occupa della gestione del territorio.

a.corrado@luedi.it

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