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POTENZA – Le perplessità, all’interno del mondo accademico, sembrano piuttosto forti.232843 La federazione di sei atenei del Mezzogiorno – consacrata ufficialmente a Matera lunedì mattina alla presenza del ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto – viene da più parti proposta come l’unica chance per uscire dalla stretta dei tagli e contemporaneamente potenziare (un prova di federalismo positivo?) il sistema accademico del Sud. Eppure, proprio dalle università del Mezzogiorno (non solo quelle federate) si alzano segnali di dissenso rispetto a un percorso che non sembra poi così definito. Un documento stilato dalla facoltà di Scienze dell’Unibas anticipava la riunione materana, mettendo nero su bianco le perplessità e chiedendo al rettore Mauro Fiorentino di convocare gli organismi collegiali e farsi promotore di alcune iniziative utili a tutelare l’autodeterminazione dell’università. Lo scorso 19 gennaio, quando sembrava «fosse già in fase avanzata lo studio di un progetto di federazione tra le università di Basilicata, Puglia e Molise – lamentavano i sottoscrittori del documento – «le informazioni ufficiali nel nostro ateneo non superano le poche righe». Ecco lo «stridere», il paradosso sollevato: se da un lato è alta la consapevolezza dell’«importanza dei temi» in gioco, dall’altro non c’è stato adeguato «dibattito». Le stesse informazioni fornite dal rettore Fiorentino sembrano non essere state utili a «dissipare completamente dubbi e incertezze sulla reale natura dei processi in atto». Sarà pure, quella in corso, una necessaria fase di preparazione. Ma poi – ecco il dubbio – sarebbe possibile eventualmente ritirarsi? Ora, visti i temi posti alla base del progetto (ricerca, alta formazione, offerta formativa, servizi per gli studenti), come pure il richiamo nella bozza di protocollo alla riforma dell’università introdotta dal governo (collegata a “una razionalizzazione dell’offerta formativa”), il dibattito non può «rimanere confinato nei limiti dei pur necessari tavoli tecnici, che al momento sembrerebbero riguardare la riorganizzazione delle biblioteche, strutture telematiche e informatiche, organizzazione didattica e dei dottorati». La preoccupazione è rispetto a scelte che, se non condivise, possano «limitare l’autonomia, danneggiare gli studenti lucani, e penalizzare quanto sinora realizzato con l’importante sostegno e sacrificio della comunità lucana». Non che sia tutto da buttare. Piuttosto, sarebbe il caso di rendere più partecipato un processo – conclude il documento – che «se ben guidato può contenere importanti elementi e opportunità di sviluppo, crescita e consolidamento dell’ateneo». Parte di quel Mezzogiorno che si cerca di difendere a tutti i costi. Eppure, mentre i sei atenei cercano la via della federazione per resistere e crescere, sempre a Sud c’è un’altra università che alza la voce. La Federico II non è nella federazione, ma conta – lo ha scritto il rettore Massimo Marelli in un intervento pubblicato dal Mattino di Napoli – moltissimi tra i più quotati ricercatori del Sud (in generale, nel Mezzogiorno, lavora il 25 per cento dei migliori ricercatori del Paese). Eppure, nessuno di questi è stato nominato dal governo nell’agenzia Anvur (agenzia nazionale di valutazione delle università e della ricerca), l’organismo che dovrà valutare l’efficienza e l’efficacia dell’attività didattica, i risultati della ricerca, la capacità di relazione col mondo del lavoro. «E’ proprio perché crediamo profondamente che il sistema dell’università debba e voglia essere valutato in maniera rigorosa – dice Morelli – che solleviamo questi problemi». Non è forse anche questo un pezzo di Sud universitario da rivendicare?

Sara Lorusso

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