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PIETRAPERTOSA – Quando cominci a intravedere il profilo di Pietrapertosa il cuore ti si ferma un attimo. Quelle montagne strane, che sembrano scolpite, quella natura che sembra scherzare  con quei boschi, ti invadono gli occhi.

E’ meraviglioso questo piccolo borgo e, infatti, non è un caso che i frati, centinaia di anni fa, abbiano deciso di costruire proprio qui un convento dedicato a San Francesco.

Grande, maestoso, ma con le finestre chiuse da pezzi di legno perchè ora non ci sono i soldi per ristrutturarlo.

«L’unica speranza – racconta il vicesindaco Rocco Piancazzo – è donarlo alla Chiesa. Magari la Cei riesce a ristrutturare almeno il chiostro. Perché se aspettiamo lo Stato…».

Lo Stato. Qui è un’entità astratta. Lo Stato è quello che «giustamente ti porta via i figli se li maltratti, ma poi loro ci possono maltrattare come vogliono». A “presidiare” lo Stato c’è il Comune, avamposto sempre più sotto attacco, schiacciato tra le necessità e i bisogni dei cittadini e quei tagli che stanno cancellando ogni respiro futuro.

Il Comune è il luogo dove i cittadini vanno a raccontare un disagio, a protestare per un disservizio, a piangere perchè l’anticipo della Tares davvero non possono pagarlo. E come fanno se vivono con un sussidio di disoccupazione e due figli a carico?

E’ frustrante essere amministratori in un piccolo Comune come Pietrapertosa. Lo è perché le risposte come “aspettiamo che la Regione stanzi i soldi per…” le pronunci con dolore. Anche perché spesso sai in anticipo che la Regione quei fondi quest’anno non li stanzierà. Ma come fai a dirlo a chi ti chiede solo il rispetto di un sacrosanto diritto?

La verità è che in un paese povero e ormai scarsamente abitato come questo un amministratore conosce uno per uno i suoi cittadini. E sa che i problemi sono concreti e davvero si chiamano povertà e disagio. E talvolta devi anche far finta di non vedere che ci sono situazioni che erano comprensibili 70 anni fa, non oggi. E la frustrazione nasce dal non poter fare nulla, dal non avere tra le mani gli strumenti necessari per garantire anche il minimo  indispensabile.

La voglia di fare si deve mettere a fare i conti con la realtà di persone che oggi sono in difficoltà, ma domani lo saranno anche di più. Perché quello che non si fa oggi è un’opportunità che si toglie «al nostro futuro, ai nostri figli».

Pietrapertosa ha un passato importante: la storia è passata di qui, da questa piccola fortezza incastonata tra le rocce. Proprio l’isolamento e l’inaccessibilità devono aver fatto la sua fortuna. Mille anni fa, però. Perché oggi proprio l’isolamento è per Pietrapertosa un peso difficile da sostenere.

L’essere lontani, quasi parte integrante di quelle rocce, diventa il prezzo più caro. Ed è per questo che il comune lentamente si è spopolato, i più giovani a malincuore hanno fatto le valige e sono partiti, lasciando ovunque la stessa scena: tanti anziani e pochi bambini. Numeri così piccoli che è diventato difficile mettere insieme una classe, mettere in piedi un servizio di trasporto. E crudelmente condannati, a Pietrapertosa come in tanti altri piccoli comuni, sono proprio i più piccoli, i più deboli. Il nostro futuro, insomma.

Per loro non c’è diritto ad avere lezioni adeguate, che possano innalzare il loro livello culturale: sono pochi, che pretendono? Così fanno lezioni una classe nell’altra, una stessa insegnante fa prima la lezione per quelli di prima poi per quelli di seconda. Avrebbero diritto a cinque ore di lezione, ne fanno esattamente la metà, non assimilando nulla di quello che sarebbe loro diritto imparare. Appena appena un po’ di italiano e matematica, l’inglese è impossibile, figuriamoci l’informatica. Li prepariamo alla povertà e alla precarietà, perché con la loro vacillante preparazione quale prospettiva di miglioramento potranno avere? Se gli andrà bene partiranno anche loro verso lontane destinazioni. Resteranno la manovalanza. Se gli va male resteranno qui, ostaggio del politico di turno che gli prometterà un lavoro a progetto o un periodo di formazione per poi accedere a una qualche forma di sostegno al reddito. E saranno per sempre privati della libertà che viene dall’assenza del bisogno. Ma forse è per questo che si sta lavorando, per rendere tutti più insicuri e precari, quindi più ricattabili. Ed è a questo destino segnato che i genitori di Pietrapertosa, guidati dal sindaco Antonio Pasquale Stasi, ora si ribellano. Anche a costo di lasciare quei banchi vuoti.

 

SE E’ LO STATO A MALTRATTARE

La storia inizia nel maggio scorso. I genitori dei ragazzi della prima e della seconda media, così come il sindaco e il dirigente scolastico, vengono informati che sarà necessario formare la pluriclasse. La norma, infatti, prevede che nei comuni montani le classi si possano formare solo a partire da un numero di 10 alunni. A maggio nella prima media risultano iscritti cinque ragazzi, nella seconda ce ne sono 11. I numeri non ci sono per formare due classi: ci sono in tutto 16 ragazzi. A giugno poi tre ragazzi della prima vengono bocciati e – anche se il Ministero al 20 settembre ancora non ha aggiornato la situazione – ora ci troviamo con 8 ragazzi in prima, 8 nella seconda.

E già di per sè questa è un’aberrazione. «Anche perché – dice una delle mamme – se mio figlio l’anno scorso è stato bocciato evidentemente è anche perchè non è riuscito ad apprendere, ha avuto delle difficoltà a seguire. E quest’anno allora che succederà?».

Tutti nella stessa classe: da una parte ci sono gli otto alunni della prima, dall’altra gli otto della seconda. Due lavagne, un insegnante di italiano che su una lavagna spiegherà per un’ora la lezione alla prima, l’altra ora, invece, la dedicherà alla seconda. A ciò si aggiungono tre ragazzi con handicap certificato e   due insegnanti di sostegno. Tutto nella stessa classe. Potete immaginare il caos, «i ragazzi che tornano a casa con il mal di testa, dicendo che non hanno capito niente».

«E proprio perchè volevamo scongiurare questa situazione – dice il sindaco Stasi – ci siamo attivati da subito. Senza ottenere risposta. E’ passata l’estate e a settembre ci siamo trovati questa pluriclasse. La scuola è iniziata il 12, abbiamo aspettato fino al 17 settembre, quando armati di carte siamo tornati a Potenza per rappresentare le nostre difficoltà ma, soprattutto, per chiedere conto dei motivi per i quali venivamo trattati diversamente da altri comuni nelle nostre stesse condizioni».

E’ una guerra tra poveri, sottolinea il sindaco. «E non è che noi vogliamo che tolgano ad altri ciò che   è stato dato loro, al contrario. Vogliamo però avere la stessa possibilità: quella di formare una classe anche con otto ragazzi. Perché per alcuni si è fatto questo sforzo e per altri no? Noi chiediamo lo sdoppiamento anche in virtù della presenza dei tre studenti diversamente abili. La verità è che la legge non è proprio chiara, si capisce poco, spesso una norma contraddice l’altra. E così ci troviamo un comune in una situazione e un altro con un’altra situazione».

Ed è questa disparità di trattamento a far infuriare i genitori, che non vogliono «che i nostri figli siano trattati come fossero del Terzo Mondo».

Perché «non è giusto che io debba pagare le ripetizioni per fargli fare quello che a scuola non riesce a capire per questa situazione. Chè ci fossero i soldi, già questo è un periodo che va male».

Alla direzione provinciale la risposta è stata: «Dobbiamo fare una verifica». Un modo per prendere tempo, probabilmente, perché ai genitori non risulta sia stata fatta alcuna verifica. Un modo per tenerli buoni, magari fino al prossimo anno scolastico, poi si vedrà.

Solo che ora i genitori sono davvero arrabbiati. Anche perché questo è l’ennesimo torto che si fa ai ragazzini di questo paese. Perché le penalizzazioni e i ritardi sono iniziati già alle scuole elementari, con maestre che cambiavano ogni anno – «qualcuna che ci rispondeva: “e che m’importa, per me tanto il 27 arriva lo stesso”» – e  pluriclassi anche qui.

E i risultati sono stati disastrosi: «A maggio la maestra dice a 7-8 di noi che i figli avevano disturbi dell’apprendimento. Allora inzia una lunga trafila a Potenza, con visite dallo psicologo, dal medico. La conclusione è che questi bambini non avevano alcun ritardo, semplicemente non sono stati seguiti come dovevano essere seguiti. Che poi è possibile che tutti quelli di una classe hanno disturbi dell’apprendimento?».

«E come arriveranno alle scuole superiori? Con cultura zero. Vogliono risparmiare sui docenti, ma questo sarà l’unico risultato. Parlano di leggi e diritti: ma dove sono i diritti di questi bambini? Perchè poi se io maltratto mio figlio subito mi mandano i carabinieri. Ed è giusto. Ma quando è lo Stato che maltratta questi bambini, perché nessuno fa niente?».

E ora dicono basta e se lo Stato non inizierà a dare qualche risposta, loro minacciano di non farli neppure entrare più i figli a scuola, anche se è quella dell’obbligo. Perché tanto, in queste condizioni, non ci sono diritti, ma neppure obblighi.

a.giacummo@luedi.it

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