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POTENZA – C’è un luogo che più degli altri rappresenta il capoluogo in questo momento. E’ il Ponte attrezzato, chiuso già da diverse settimane e abbandonato al suo triste destino di declino. Fra qualche mese sicuramente quest’opera enorme – su cui sono stati riversati diversi milioni di euro – non sarà più utilizzabile, essendo quelle strutture bisognose di continua manutenzione. Ma è proprio quello il problema, come detto dal sindaco De Luca a Fabio e Mingo di Striscia la notizia. Mancano i soldi per pagare la ditta che si occupa della manutenzione.
E poi quel Ponte costa tanto in termini di energia, personale, pulizia. Così via, si chiude e ora quell’enorme serpente giace lì al buio. Metafora perfetta del capoluogo, in attesa di capire quale sarà il suo destino e rassegnato all’incertezza.
E cosa sarà del capoluogo prima o poi qualcuno dovrà pur dircelo. Perchè in questo momento l’unica prospettiva che si vede è la rassegnata consapevolezza di non poter contare più su nulla. Sul Ponte, sulle scuole dell’infanzia, sulla mensa, sui trasporti. E quello che più stupisce è il silenzio dei potentini. A parte le proteste dei lavoratori e di qualche cittadino delle contrade, tutto si sta svolgendo nel silenzio e nella rassegnazione più assoluta.
Come se questa città fosse di qualcun altro, come non fosse la nostra. Come se la collettività fosse morta e i singoli individui stessero lì a pensare ognuno ai propri guai. Come se il benessere della città non coincidesse con il bene del singolo.
Ci sono stati – ce lo hanno ricordato nelle scorse settimane politici di vecchia data – periodi peggiori per questa città. Ci sono state altre difficoltà, altri dissesti. E ci sono stati posti perduti e paure. Eppure qualcosa in passato è venuto fuori. Qualcosa ha tenuto insieme la città. E qualcosa ha tirato fuori tutti dal baratro. E’ quel qualcosa che ora ci sfugge, che ci rende lontani. Che ci fa odiare il luogo in cui viviamo senza farci immaginare cosa vorremmo di nuovo e diverso. Che ci fa fermare alla sterile protesta, senza farci immaginare e proporre l’alternativa.
E’ vero che manca un’idea di città ai nostri amministratori – quelli di prima e quelli di oggi, per non far torto a nessuno – ma è vero anche che un governo è sempre lo specchio dei propri cittadini. E qui c’è chiaramente qualcosa che non funziona.
Cosa vogliamo diventi questa città forse dovremmo iniziare a capirlo noi. Cosa ci manca per essere felici dovremmo saperlo noi. Ma l’impressione è che qui si navighi a vista. Immaginando già un futuro lontano da questa terra.

a.giacummo@luedi.it

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