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IL PUNTO di partenza è dove nasce il miracolo, la leggenda più importante di tutte. Lì dove la schiera di angeli celesti, chiamati a raccolta dal vescovo Gerardo, ha arrestato l’avanzata dei turchi, arrivati con una flotta attraverso il Basento. Non importa se la storia sia verosimile o no, è una storia fondativa, l’atto mitopoietico e come tale va tenuto in considerazione. C’è una scritta quasi cancellata, in mezzo ai pennarelli blu e neri che intasano le basi delle colonne del tempietto. «San Gerardo aiutami tu». Scherzo, goliardata o scelta di fede non importa, è comunque il primo filo diretto per capire tutto. Anzi, meglio farsi spiegare dai potentini cosa può essere questa festa e la devozione popolare che c’è dietro, vino e festa compresi. S’intende. La statua del santo sembra averne passate di cotte e di crude, ci sono segni di crepe, ricostruzioni, restauri e rattoppi. È come se collezionasse le cicatrici della città. In fondo un patrono rappresenta lo spirito di un luogo ovvio che il compito di raccontare spetta esclusivamente a loro. Entro nell’Antica Caffetteria, al bancone c’è Gabriele, il suo sorriso è rassicurante. Gli spiego che sono un forestiero e che ho bisogno di capire chi era San Gerardo, cosa si fa in queste giornate. Gabriele tira fuori una voce fiera e mi dice che San Gerardo fu vescovo di Potenza, mi racconta della festa e della Iaccara. La Iaccara? Cos’è? La reazione di Gabriele è esilarante, occhi strabuzzati. Mi giustifico dicendo che sono nuovo da queste parti. Ed ecco che mi racconta la storia del fascio di canne e legna pesante una tonnellata, in fiamme nella notte. 
Penso alle tradizioni pagane che riempiono il sud Italia, i riti arborei lucani, forse tra i più affascinanti rituali di tutto il Paese, e quel fuoco di purificazione e rinascita. Straordinario. È già qualcosa, un inizio importante per capire come la tradizione popolare, l’unione tra cattolicesimo e paganesimo sia entrato anche nella dura scorza di pietra che circonda questa città. Una liberazione fatta di tante notti, la festa, la comunione, il recupero della storia e ovviamente la fede. Anche se parlare di fede in questo caso non è proprio il modo giusto di interpretare questa festa. Basta pensare all’incontro sulle gradinate della chiesa, quel momento di preghiera che è anche ricongiungimento “laico”. È la Potenza manifesta in onda emotiva. 
Mi fermo da Leonardo, proprietario del Mondrian. Con lui la discussione si fa molto più concreta perché si arriva a toccare il tasto dolente del pranzo dei Portatori. Qui la coscienza si divide ancora: da una parte la bellezza nel vedere la rinascita di una tradizione, costruita grazie all’impegno dei gruppi di volontari, la bellezza nel poterci guadagnare tutti qualcosa come esercizi commerciali e la voglia di far festa tra balli, canti e tamburi. Ma attenzione ai minorenni che si ubriacano, punto dolentissimo. Ci devono essere dei limiti. «Lo scorso anno avresti dovuto vedere i bicchieri lanciati in aria, il vomito, il casino», mi piace controbattere dicendo che nella mia breve vita ho visto molti più ventenni comportarsi da beoni che ragazzini di 17 anni alticci e “violenti”. Per il resto anche Leonardo pensa che San Gerardo meriti uno spazio come la piazza Prefettura. Anche perché le persone hanno la possibilità di muoversi liberamente e con calma e quindi di vivere meglio il centro storico. Ma i ragazzini no. Va bene, vado avanti conscio del fatto che di cose del genere, benché si tratti solo di un pranzo, credo di non averne mai viste in nessuna città. Salvo poi sentirmi dire che a Siena è d’uso decidere se farti entrare o meno alla cena della Prova Generale del Palio. Vero, ma in questi casi l’unico limite è la disponibilità di posti, non la carta d’identità. C’è un po’ di tensione nell’aria perché in piazza incontro i Portatori. Sono un po’ agitati per la vicenda del “vietato vietare”. È vero, si tratta di un divieto, quello dell’alcol ai minori di 18, solo circoscritto al pranzo e non agli eventi musicali. Una scelta personale degli organizzatori che non ha nulla a che fare con la normalizzazione o la sconfitta piegata al perbenismo di una parte della città. Però l’animato discorso con i Portatori mi ha convinto di qualcosa: è gente vera, forte, che ci crede. Lo spirito giusto per comprendere e amare una festa così sentita.

 

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