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È il colore del maglione di un vecchio fascista militante, Cenzino Belmonte, a simboleggiare la contraddizione. Non l’avrà fatto apposta, ma quel rosso fuoco che indossa nel giorno in cui darà l’assalto a De Luca gridandogli “traditore, traditore” dice che la politica è uscita anche dal tempio dei suoi simboli, senza più storia né prospettiva. Impiccata al presente, morta, tra fischi e pernacchie. Nella sera triste di Potenza volano sputi, pesanti accuse (“in Giunta corpi abituati a riscaldare squallide lenzuola, dirà Loredana Baldassarre di Fratelli d’Italia), contestazioni ibride, alleanze strette sul no, e tanta rabbia, come raramente si era vista in città. “Lurido porco” grida ripetutamente Donato Ramunno, derogando allo stile di relazione che da tempo si è dato. Chiuderà scusa, più tardi. Nella casa di tutti i cittadini, fuori e dentro le mura, si fa spazio la Digos. Potenza, all’improvviso, fa esplodere tutta la sua scontentezza. Ha le vertigini e trema il capoluogo di regione poggiato sul tetto d’Italia. Neppure la neve, quest’anno, è venuta a coprire lo scontento di una stagione alla quale la città non è abituata.

Il sindaco Dario De Luca, in una sterzata di decisionismo tardivo, ha fatto la nuova giunta, si fa fotografare, stile famiglia reale, con gli uomini e le donne freschi di nomina. Un Pd a brandelli, diviso tra troppe mozioni per una comunità così piccola, gli ha messo il turbo. Assessori confermati, qualcuno ripescato e perdonato della sua ingenuità, new entry che capovolgono lo schema della campagna elettorale, cardinali sacrificati, e l’ombra di regie (politiche) diffuse. Ma davvero, come dice Gianni Rosa, questa giunta di Pittella, Margiotta e Speranza è il frutto di una strategia e di una riconoscenza e di nuove alleanze? Può darsi, a leggere i comportamenti. Ma con quale prospettiva di lunga durata nel dialogo con i cittadini?

Persone perbene, dice il sindaco. Una giunta di uno strano centrosinistra, mentre Vincenzo Folino cavalca l’onda e gli chiede quali “persone di sinistra” non siano perbene. La bonaccia annuncia tempesta per i prossimi mesi proprio a sinistra.

Il giorno dopo, stamattina, il giorno della memoria, il ricordo dell’Olocausto serve a deviare i pensieri. Ci prova qualche assessore a distrarre l’attenzione. Non sarà sufficiente. La notte serve solo a rimanerci male.

Che cosa è successo a Potenza, e cosa potrà succedere? È un consiglio comunale giovane quello che esce dalle urne. E il voto consegna un forte desiderio di cambiamento. Ma la rottamazione non funziona. Al di là dell’anatra zoppa, un sana alternanza riesce a stento a costruire e a far filtrare nuove relazioni culturali e di pensiero. Sono quelle dei giovani di destra, indomiti nel dare battaglia, nel rivendicare la loro concezione di vita. Abitano la Rete, hanno l’orgoglio di una nuova cittadinanza di bandiera, ci provano e ci credono. La grande manifestazione del novembre 2014 contro lo SbloccaItalia è il momento simbolico della loro capacità aggregativa. Ma non sarà abbastanza per supportare un’azione amministrativa cittadina che pure sostengono nella speranza e nella fiducia che sia il loro simbolo, il loro sindaco, a mettersi alla testa della rottura. Ha dei guizzi, De Luca, anche forti. Non è un laico borghese come il sindaco di Matera, non ne ha la formazione intellettuale. E’ un ingegnere che ha solide relazioni ecclesiastiche, scelto dalle urne, annuncia di volersi dimettere ma poi prende tempo e non lo fa. Mutua, in rari momenti, radicalismi lessicali e istanze di sovversione. Prova a parlare direttamente ai cittadini. Che restano perplessi, divisi, disorientati.

Il problema più serio è che le casse del Palazzo sono vuote, aggravate dalla rottura del patto di stabilità. Si gioca una partita parallela sulle responsabilità del disastro contabile col vecchio sindaco, Vito Santarsiero, che prova fino alla fine a tenere fuori il Pd dall’accordo inciucionista. La magistratura contabile e quella ordinaria hanno la delega a capirci qualcosa. E’ il piano politico che non funziona. Manca un leader super partes, il Pd perde il suo segretario regionale, Antonio Luongo. Un presagio funesto. Chi dà la linea? Chi mette insieme i cocci dei democratici? Qual è la strategia dei colonnelli affidati a un pacato avvocato, Sarli, che non riesce neppure ad aggiornare la direzione cittadina a una data di calendario?

Potenza è da tempo che cerca di capire il suo destino. Mentre tutto il mondo parla di Matera (ma anche qui, dentro casa, iniziano a porsi troppi appelli e troppe domande che attendono risposte: per esempio quella di Rocco Calandriello del centro Tilt di Pisticci che ha fatto breccia in numerosi operatori culturali) il capoluogo di regione sbanda cercando la strada giusta. Il mandato dei cittadini non ha più rappresentanza in un’Italia in verità dove il concetto stesso è dissolto, e nel fluire di convergenze di sistema, nessuno esce dall’incubatore per mostrare carattere capace di fortificarsi sulle debolezze. Lo fa una destra ferita, che aveva sperato di far partire da Potenza la sua risalita di vittoria in un’Italia che drena da qui le sue risorse, nell’inconsapevolezza degli italiani.

Ora arriverà il tempo dei “tavoli” e delle “riflessioni necessarie” mentre la turbo macchina amministrativa vorrà dare l’idea di essersi messa in moto. Forse si può ripartire da relazioni attive, dalle molte forze che esprimono desiderio di vita e costruzione. Questa città ha bisogno di essere voluta bene. Ma soprattutto, Matera o non Matera, se non ce la fa Potenza non ce la fa la Basilicata.

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