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DENUNCIA, studio e proposta. Sono questi i tre principi che hanno ispirato l’idea del reddito minimo di inserimento. Una proposta della Cgil che parte dall’analisi dei dati sulla povertà che “morde” con i suoi effetti anche la Basilicata. Nel 2013, in Italia, il 12,6% delle famiglie ha vissuto in condizioni di povertà relativa (3,2 milioni di nuclei familiari). In Basilicata la percentuale (22,9) supera di gran lunga la media nazionale. Dai dati, presentati dal segretario lucano della Cgil, Alessandro Genovesi, è anche emerso che, per la Lucania, rientra nella soglia di povertà assoluta chi ha meno di 583 euro mensili (per una famiglia con un solo componente). Sono invece 30 mila le famiglie in condizioni di povertà assoluta (12,6% rispetto a una media nazionale del 12,6%). E partendo dalla denuncia e dallo studio di questi dati, la Cgil ha chiesto alla Regione di ipotizzare il «Reddito di inserimento» già nella prossima legge di assestamento di bilancio. Una proposta che prevede un trasferimento calcolato in base al reddito Isee e a un coefficiente «di equivalenza» riferito ai componenti del nucleo familiare, che parte da 340 euro e arriva fino a 900 euro. Potrà essere concesso ai residenti in Basilicata che rientrano nei parametri, e ai «senza fissa dimora», ma «con attestazione del sindaco di dimora abituale». Il segretario della Cgil ha poi ricordato che non si tratta di un intervento assistenziale, poiché «c’è un corrispettivo in lavori sociali dovuto da chi percepisce questo reddito», come accade in altre zone d’Europa, su progetti locali che nasceranno in base alle esigenze delle comunità. «I progetti specifici di inserimento lavorativo – è spiegato nel documento redatto dalla Cgil – non dovrebbero avere durata superiore ai 12/14 mesi e la copertura del Reddito Minimo di Inserimento non dovrebbe superare i 18 mesi a parità di condizioni di reddito per le prime due fattispecie di “poveri assoluti estremi” e “poveri assoluti a rischio” e i 14/16 mesi per i “poveri relativi a rischio di povertà assoluta”. Questo non solo per una questione di copertura economica, permettendo ad eventuali cittadini aventi diritto ma esclusi per termine dei fondi, di vedersi comunque inseriti nella platea dei beneficiari successivamente, ma anche perché la filosofia di aggredire le diverse dimensioni delle povertà porta con sé l’esigenza di differenziare sia le rotazioni di platea che, ci auguriamo, i tassi di successo e di primo reinserimento non accompagnato». Più realisticamente – fanno notare dal sindacato: «con l’assunzione dell’obiettivo del raddoppio degli attuali beneficiari del progetto Copes e della platea degli attuali beneficiari di ammortizzatori in deroga (che comunque coprirebbero circa il 25% delle platee) il costo complessivo sarebbe, tra trasferimenti monetari e politiche di attivazione sociale, intorno ai 60 milioni di euro , fatto salvo il tasso di stabilizzazione dopo i primi tre anni, che verrebbe però sterilizzato dall’ingresso tra i beneficiari degli esclusi per mancanza di fondi». La proposta è stata fatta. Non resta che attendere che la Regione batti un colpo.

 

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