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CROTONE – Lo hanno trasferito da Termoli, ex isola felice ormai infiltrata dalla ‘ndrangheta, in una presunta località protetta che già gli era stata vietata per motivi di sicurezza e in cui si trova un suo ex affiliato. La denuncia è del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, che parla di una «nuova incoerenza» dello Stato. «Il sistema di protezione rischia di distruggere uno dei pentiti di ‘ndrangheta più importanti. 

Per questo – dice l’ex reggente della cosca di Crotone al Quotidiano – faccio appello alla Dda di Catanzaro e ai calabresi perché intervengano». Bonaventura parla di sé stesso, ovviamente, con riferimento al fatto che le sue rivelazioni hanno contribuito a far infliggere condanne per secoli di carcere ai clan del Crotonese. E continua a individuare falle nel sistema di protezione che già hanno determinato il suo trasferimento dal Molise. «I Nop (Nucleo operativo di protezione, ndr) che avevo denunciato sono gli stessi che mi hanno accompagnato nella mia nuova casa – comincia – e questa località mi era già stata vietata per ragioni di sicurezza. Se anni fa non era sicuro andarci – si chiede il pentito – perché è sicuro adesso?». Tanto più che, a dire del collaboratore di giustizia, «ci vive un falso pentito al quale è stato revocato il programma di protezione perché ritenuto inattendibile e che qui ha commesso crimini». 

Sempre secondo Bonaventura, si tratta di un suo «ex affiliato». Insomma, «da una città piena di falsi pentiti e ‘ndranghetisti mi portano in un’altra città di ‘ndranghetisti e falsi pentiti e questo – rileva – non può che minare la mia sicurezza». A tutto ciò si aggiunga che «mia moglie e mia figlia di appena dieci anni – accusa Bonaventura – sono state avvicinate da crotonesi nei giorni scorsi» e che «a pochi chilometri da dove mi trovo ora si è tenuto un summit di ‘ndrangheta». Ma non finisce qui. «Da due mesi non riesco ad avere documenti di copertura per cui senza conversione delle cartelle cliniche la mia famiglia non riesce a curarmi». 

Alla vigilia del primo giorno di scuola, Bonaventura non sapeva dove mandare i figli a scuola. «Il mio avvocato, Maria Karen Garrini, sta telefonando tutti i giorni al Servizio centrale di protezione senza ottenere risposte». «Se sopravvivo – conclude il pentito – è grazie alla stampa che ha acceso i riflettori sulle mie condizioni di vita da detenuto, se non altro, e sulla mia lotta per il rispetto dei miei diritti e il reinserimento sociale. Ma lo Stato – dice ancora – non ha mantenuto una sola parola e se la nuova località doveva essere un transito sicuro per l’estero credo che alla fine non rispetterà neanche l’impegno di mandarmi fuori dall’Italia». Intanto, bisogna aggiungere anche la Dda di Venezia nell’elenco delle Procure di mezza Italia con cui l’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano sta collaborando. L’elenco viene riproposto in una petizione a sostegno del pentito, inviata al premier Renzi e che ha quasi raggiunto le 15.000 firme. 

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