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POTENZA – «Abbiano la dignità di non farlo» ha intimato ieri sera la famiglia Claps. Invece no. L’avvocato Donatello Cimadono sarà in udienza lo stesso questa mattina su mandato del vescovo monsignor Agostino Superbo, ed esporrà i motivi perchè la chiesa potentina si considera vittima di Restivo, offesa per anni e in modo particolare da quando il corpo di Elisa Claps è stato ritrovato nel sottotetto della Santissima Trinità. Da quel giorno, il 17 marzo del 2010, c’è una comunità di fedeli che aspetta di tornare a pregare nel tempio di via Pretoria, sotto sequestro giudiziario. Loro – i fedeli – e i sacerdoti della diocesi del capoluogo sono finiti al centro di sospetti a dir poco infamanti. L’avvocato Donatello Cimadomo ha il compito di chiedere ristoro di tutto questo. Dovrà superare l’opposizione dei familiari di Elisa che non sembrano disposti a cedere di un passo, ma alla fine il giudice potrebbe anche decidere di non tenerne conto.
È prevista per questa mattina a Salerno la ripresa del processo per l’omicidio della studentessa di Potenza, “scomparsa” il 12 settembre del 1993 dopo che era uscita di casa per incontrare Danilo Restivo proprio davanti alla chiesa della Trinità. A luglio l’avvocato di Restivo, Mario Marinelli, che sostiene da 18 anni l’innocenza del suo assistito, ha optato per il rito abbreviato quindi oggi stesso i pm Rosa Volpe e Luigi D’Alessio, a meno di sorprese, dovrebbero avanzare la loro richiesta di condanna al gup Elisabetta Boccassini. Poi verrà il turno delle parti civili: la famiglia, che si è già costituita con l’avvocato Giuliana Scarpetta; il Comune di Potenza, che dovrebbe essere presente come annunciato dal sindaco Vito Santarsiero; e la diocesi del capoluogo. Resta fermo che per le ultime due va ancora deciso se possono entrare o meno nel processo. In realtà un tentativo di coinvolgere la chiesa potentina c’era già stato ma si è arenato di fronte a un secco no: i Claps avevano chiesto infatti di citare, non come parti lese ma al contrario come responsabili civili, i due vescovi che si sono susseguiti alla guida della diocesi dal 1993 al 2010, monsignor Ennio Appignanesi e il suo successore Agostino Superbo (in foto). «Secondo il codice canonico – aveva sostenuto l’avvocato Scarpetta – il vescovo ha un dovere di vigilanza sulle chiese della Diocesi. Poichè entrambi i vescovi hanno ammesso nel loro esame testimoniale che la chiesa della Santissima Trinità era sfuggita al loro controllo per la resistenza del parroco don Mimì Sabia che non ammetteva ingerenze, e poichè si è visto che entrambi i vescovi non hanno utilizzato gli strumenti che avevano per esercitare il loro dovere di controllo, come l’avvicendamento del parroco, noi li abbiamo ritenuti responsabili civili di quello che è accaduto nella chiesa della Santissima Trinità. Una chiesa dove è stato consentito che Elisa fosse uccisa e che per 17 anni il suo corpo rimanesse lì. Una chiesa dove è risaputo che don Mimì non permise l’ingresso neanche ai parroci a cui si erano rivolti i familiari di Elisa». Di diverso avviso il gup Elisabetta Boccassini per la quale nel caso in cui fosse stato vivo don Mimì Sabia lui e soltanto lui si sarebbe potuto considerare come un eventuale responsabile civile, nel senso che nei suoi confronti si sarebbe potuto intentare una causa di risarcimento. Peraltro, sempre secondo la Boccassini, non essendo Danilo Restivo organico della Curia, i vescovi non avrebbero alcun tipo di responsabilità.
L’udienza di questa mattina e quella già fissata per giovedì, in cui potrebbe arrivare la lettura della sentenza, si terrà a porte chiuse. L’unico imputato, Danilo Restivo, trentanovenne originario di Erice arrivato a Potenza da ragazzino al seguito del padre, alto funzionario del Ministero dei beni culturali e direttore della Biblioteca nazionale, ha già rifiutato la possibilità di essere presente in videoconferenza. Da maggio del 2010 si trova infatti in carcere in Inghilterra dove sta scontando una condanna all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di Heather Barnett, la sarta di Bournemouth trucidata il 12 novembre del 2002.
Restivo è accusato di aver ucciso Elisa dopo un approccio sessuale respinto dalla ragazza. Con la scusa di un regalo per la sua promozione agli esami di riparazione l’avrebbe attratta nel sottotetto della Trinità, un posto che conosceva bene in quanto frequentava da tempo il centro culturale giovanile che anima la canonica lì affianco. Una volta saliti l’avrebbe aggredita e di fronte alla sua resistenza è accusato di averla trafitta con una piccola lama, poi ne avrebbe nascosto il corpo nell’angolo più buio e lontano di quella che sarebbe stata la sua tomba per 17 anni.

Leo Amato

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