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Questa volta Danilo Restivo ha parlato. In aula, nel corso di una delle udienze del processo di Appello per l’omicidio di Elisa Claps, Restivo (condannato all’ergastolo in primo grado) ha letto una lettera dedicata alla mamma di Elisa. «Non si tratta di una lettera di perdono – ha spiegato uno dei suoi avvocati, Marzia Scarpelli – Non può chiedere perdono una persona innocente, ma esprimerà comunque il rammarico per la morte di una povera ragazza, quale era Elisa». 

I giudici hanno poi accolto la richiesta di Restivo di fare una udienza pubblica e non in camera di Consiglio come previsto dal rito abbreviato. I giornalisti hanno così potuto assistere alla lettura della lettera. La mamma di Elisa, Filomena Iemma, ha invece preferito uscire dall’aula. 

non ho ucciso e non ho idea di chi sia stato”. Così Danilo Restivo in aula a Salerno in una lettera rivolta a Filomena Iemma, madre di Elisa Claps, per il cui omicidio è l’unico indagato e condannato già a 30 anni in primo grado. Restivo dice che la sua lettera e la sua richiesta di udienza pubblica non sono “un gesto di sfida” e porge le “condoglianze” alla famiglia.
“Il mio desiderio – aggiunge Restivo – e’ un giorno quello di portare i fiori sulla tomba di Elisa”.  Rivolge poi un appello all’assassino: “Costituisciti, io sono in carcere da innocente”. Intanto Filomena Iemma, madre di Elisa, esce dall’aula.

«Non ho ucciso Elisa e non ho idea di chi sia stato». La sua lettera e la sua richiesta di udienza pubblica, dice, non sono «un gesto di sfida. Il mio desiderio – aggiunge Restivo – è un giorno quello di portare i fiori sulla tomba di Elisa.»

Rivolge anche un appello all’assassino: «Costituisciti, io sono in carcere da innocente.» Riguardo all’assenza dei propri genitori nel corso delle diverse fasi del processo, spiega: «Sono anziani e non in grado di viaggiare. Sono stato io a chiedergli di non venire. Non mi hanno mai lasciato solo e sono ricoperto dal loro amore.»

Ha poi fornito qualche dettaglio sul passato, sul suo incontro con la ragazza: «Frequentavo Luciano, fratello di Elisa, assiduamente dal ’92, facevamo parte di un gruppo di amici e compagni di scuola. L’anno successivo, in estate, passeggiando, incrociai Elisa e mi fermai a chiedere informazioni a Luciano. Nacque così la frequentazione: le dissi che credevo fosse una bella ragazza, che volevo frequentarla più spesso, ma lei mi rispose che aveva già un’altra relazione. Così diventammo amici e poi iniziai a frequentare Paola Santarsiere». 

Ancora sul passato, va avanti la ricostruzione di Danilo. «Mi hanno opposto che la Santarsiere avrebbe negato di essersi incontrata con me nel luglio del 1993, perchè in quel periodo non era a Potenza. Ma io continuo a dire che questa risposta è una frottola, perché ricordo che la andai a prendere e poi andammo insieme nel cantiere delle scale mobili, e salimmo fino al punto in cui poi sarei caduto nel settembre successivo». 

Che accade poi? Restivo va avanti con la sua versione. «Nel ritornare indietro dissi che provavo un sentimento con lei, ci baciammo, ma poi le si voltò disse che si era sbagliata e non era interessata a me. Uscimmo dalle scale nobili e le chiesi ancora camminando fino a via Pretoria cosa provasse per me. Una volta arrivati, però, mi spiegò di essere innamorata di un altro ragazzo, un certo Michele di Avigliano. Fu questa confusione che mi spinse a chiamare Elisa, l’11 settembre del 1993». 


Quel giorno secondo Restivo. «Telefonai a Elisa verso le 18, chiedendo come fossero andati gli esami. Ci siamo dati appuntamento alle 11.30 davanti alla chiesa della trinità per il giorno seguente. Ma durante tutta la telefonata non si è mai parlato di un regalo, nè direttamente, nè indirettamente. Mettere in mezzo la storia del regalo, nelle varie ricorstruzioni successive, è servito solo a deviare meglio le indagini, scatenando dichiarazioni isteriche su di me». 

L’indomani, il 12 settembre, «Elisa mi salutò preoccupata. Eravamo davanti al portone principale della chiesa, oltrepassando l’uscio, lì dove c’era una parete di legno che divideva il tutto. Percorremmo la navata centrale. Non c’erano né Angelica Abruzzese né la madre perché altrimenti Elisa si sarebbe fermata di sicuro. In chiesa c’erano solo alcuni fedeli». 
«Dopo che è uscita dalla chiesa, non ho saputo più niente di Elisa. Io sono rimasto lì a pregare nel presbiterio: ho percorso la navata centrale della Santissima Trinità, poi via Cairoli, ancora via Alianelli, fino a piazza Prefettura dove c’erano in esposizone delle vecchie automobili. Arrivato alla piazzetta della chiesa di San Michele, sono sceso giù fino a viale Dante. Lì sono entrato nel cantiere delle scale mobili, lo stesso in cui ero stato qualche giorno prima. Sono scivolato, sono caduto ruzzolando, con la faccia in avanti. E quando mi sono rialzato avevo una scheggia di un centrimetro ficcata tra il pollice e l’indice. Alla vista del sangue mi impressionai». 
Nel raccontare questa parte della ricostruzione Restivo ha mostrato la cicatrice sulla mano. «La scheggia di lamiera triangolare era un residuo edile della lavorazione della struttura in ferro. Quando mi rialzai i miei vestiti erano bagnati di acqua e fango, avevo perso gli occhiali che recuperai, tolsi il giubbino e li riavvolsi. Poi, con passo affrettato ho percorso tutto il cantiere della scale mobili, mentre la scheggia mi provocava un forte dolore. Ho riavvolto, allora, il giubbino di jeans attorno alla ferita fino al mio arrivo al portone di casa. Erano circa le 13.10 e incontrai mia sorella Anna, con il suo ragazzo dell’epoca. Feci vedere loro la ferita e lei mi suggerì di andare in ospedale». 
La ricostruzione del pomeriggio. «Una volta in ospedale, all’accettazione del San Carlo mi dissero che c’era un’emergenza. Aspettai, poi fui medicato dal signor Ciola che pulì la ferita. Il dottor Albano, invece, suturò la ferita a quel punto già pulita. Poi tornammo a casa dove i miei genitori ci aspettavano per festeggiare l’onomastico di mia madre. Raccontai ai miei che ero caduto. Poi alle 17.30 mia madre mi accompagnò alla stazione dove presi l’autobus per Napoli. Una volta tornato a Potenza fui avvisato dalla famiglia che la squadra mobile mi cercava». 

Restivo racconta anche del sopralluogo nelle scale mobili accompagnato dagli agenti. «Lo stato del cantiere, quel 5 ottobre, era molto diverso dallo stato dei luoghi di quando c’ero stato, il 13 settembre». 

 

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