X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

Sono passai cinque mesi allorché il medico legale Francesco Introna portò in quel di Bari – su richiesta della Procura di Matera – le salme di Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i due ragazzi ventunenni morti a Policoro il 23 marzo del 1988 in oscure circostanze mai chiarite dagli investigatori. Nell’immediatezza della consegna delle salme a Introna, si sparse la voce che l’osso ioide di Luca fosse stato trafugato, avvalorando la tesi dell’assassinio, dello strangolamento e, cosa ancor più inquietante, del tentativo di eliminare le prove. Da allora, i riflettori del circuito mediatico si sono spostati su Salerno e su Bournemouth, ovvero sul caso Claps, e dei cosiddetti “fidanzatini di Policoro” non abbiamo saputo più niente.

“Il Quotidiano della Basilicata”, come i lettori ben sanno, ha raccontato capillarmente questa storia senza abbracciare acriticamente tesi precostituite o risvolti politici. Eppure qualcosa continua a non funzionare, nell’accertamento della verità in questa storia; e la cosa che non funziona, a nostro avviso, è nel piglio stanco e rassegnato delle investigazioni. E non diciamo questo perché abbiamo nostalgia dei polveroni mediatici creatisi intorno ai “poteri forti” o alle presunte “trame occulte” per coprire la verità, ma perché la storia di Luca e Marirosa è una storia dolorosa che ha bisogno di degna sepoltura, di un punto fermo.

Sappiamo bene che analizzare dopo alcuni decenni i resti di un corpo sia lavoro complesso e difficile, e quindi guardiamo con rispetto al lavoro – e al silenzio – del professor Introna. Ma sentiamo il dovere di chiedergli conto, di sapere “a che punto sia la notte”. Una delle frasi più belle che ci abbia detto Olimpia Fuina, la madre di Luca Orioli, è stata: “A me interessa la verità, qualunque essa sia. Chi non ha fatto del male non deve temere nulla”. Il nucleo esaltante della sua frase è racchiuso in quel “qualunque essa sia”, che smentisce una volta e per sempre chi vorrebbe a tutti i costi dei colpevoli pregiudiziali. Perciò, dopo cinque mesi, chiediamo al professor Introna di dare un cenno, di fare in modo che qualcosa emerga dai corpi offesi che sta analizzando, affinché emerga la verità, “qualunque essa sia”. E lo facciamo con rispetto e pacatezza, ma anche con fermezza, come sempre.

Andrea Di Consoli

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE