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di ANDREA DI CONSOLI

PERDONATEMI questo breve viaggio nella piccola frazione lucana dove sono cresciuto, perché come molti di voi sapranno, l’epicentro dello sciame sismico che sta interessando il sud della Basilicata e il nord della Calabria è nelle frazioni tra Rotonda e Mormanno, zone che furono toccate solo in minima parte dal devastante terremoto del 1980, benché anche qui vi furono danni e lesioni. Una delle frazioni epicentro di questo sciame sismico è proprio Fratta, contrada di Rotonda dove sono cresciuto e dove vivono i miei genitori. Nel 1980, quando l’Irpinia e l’alta Basilicata caddero in ginocchio contando i morti, i miei genitori vivevano in Svizzera, e le comunicazioni telefoniche erano saltate, né si aveva modo di avere notizie in tempo reale come adesso, perciò per quasi un giorno i miei genitori non conobbero le sorti dei loro genitori. Ricordo che per parlare dalla Svizzera con i miei nonni di Rotonda (Angelo e Maria), bisognava prima telefonare a zia Teresina dell’Alimentari, dirle che avremmo chiamato dopo un’ora, e poi aspettare che zia Teresina li portasse presso la cabina pubblica, ovviamente dopo averli cercati faticosamente per terre e per boschi. Quel novembre del 1980, dunque, solo dopo un giorno mia nonna disse a mio padre che stavano tutti bene, e che di morti, a Rotonda, non ce n’erano stati. In questi nostri giorni, invece, gli aggiornamenti avvengono in tempo reale, e in continuazione si ha la possibilità di chiedere notizie ai genitori e agli amici, e anche in questo modo il terremoto è stato almeno un poco addomesticato dalla sua oscura portata minacciatrice. Questo inquietante sciame sismico che si sta verificando da almeno due settimane è la prova migliore che dimostra che nella città dell’Aquila non vi fu nessuna negligenza, perché nella mia piccola frazione di Rotonda – così come nelle altre frazioni sull’epicentro – nessuno ha deciso di andar via, né di dormire all’addiaccio, semplicemente perché le persone sperano fino alla fine che il peggio non accada, perché “Dio vede e provvede”. Mia madre, che mi descrive le scosse come boati di bombe, è molto preoccupata, ma continua a vivere dove vive. Fedele De Marco, un nostro vicino e mio caro amico (è un tecnico della Terna), dice che è fatalista, e la notte cerca di dormire tranquillo (ma tranquillo non è). La moglie invece, Cristina, che è originaria di Varese, è terrorizzata, eppure non può far altro che domandarsi vanamente “che dobbiamo fare?” Pure Rosetta Perrone, una mia cugina in seconda, ha deciso di dormire nel suo letto, anche se è convinta che “prima o poi verrà sicuramente una botta forte”. Eppure, da casa sua, non si muove. La vita va avanti e la si prende come viene, e sono certo che sarebbero in pochi ad accogliere un eventuale invito perentorio ad andare via, sia pure temporaneamente. Se domani facesse un terremoto devastante, sono certo che scoppierebbero le solite polemiche e il solito baccano, perché in giro c’è troppa gente che è convinta che la natura si possa addomesticare o incartare come fa provocatoriamente l’artista Christo. Ora, mettiamo che questo sciame sismico in Lucania sia uguale a quello dell’Aquila, cosa consigliano di fare i tanti preveggenti che hanno finanche portato sul banco degli imputati persone per bene come Bernardo De Bernardinis, ex numero due della Protezione civile? La verità è che i lucani sono molto più saggi dei preveggenti, e sanno che tutto non si può prevedere o addomesticare. Altrimenti perché nessuno ha sin qui lasciato la propria abitazione per andare in posti più sicuri (ma, appunto, quali sono nel mondo i posti sicuri?). Fedele mi dice, forte anche dei suoi studi tecnici, che “più scosse ci sono, e più si allontana la possibilità di una scosse forte”. Ha perfettamente ragione. Ma è esattamente quel che si diceva all’Aquila, tanto che in quei giorni gli sciami sismici interessavano non soltanto il capoluogo abruzzese, ma anche il Gargano e la Garfagnana. Che si fa perciò in caso di sciame sismico, poiché nessuno potrà mai stabilire se evolverà in una scossa di terremoto distruttiva? Io stesso, che ho i genitori a Fratta e lì ho una casa nella quale sono custoditi molti dei miei ricordi, mai costringerei i miei genitori a lasciare la loro casa. E mai loro lo farebbero spontaneamente (nemmeno costretti, credo, lascerebbero la loro casa). Ma ci sarà mai un’autorità politica o scientifica che avrà il potere e gli argomenti per convincere tutti a lasciare le proprie abitazioni? Fino a oggi, questa autorità non si è né vista né sentita, e dunque presumo non ci sia, né esista. Mia madre e mio padre – me lo ha confessato mia madre – hanno deciso di dormire in cucina, che non è troppo distante dal portone di casa. Si mettono vicini al caminetto sulle sedie a sdraio, e si fanno accompagnare nel sonno dalle fiammelle del fuoco. Anche il portone di casa non chiudono più a chiave. Ma se domani la mia contrada dovesse andar distrutta (spero proprio di no) a causa di un terremoto, non mi metterei certo in cerca come molti farebbero del capro espiatorio, altrimenti dovremmo decidere oggi stesso – senza tentennamenti – di evacuare l’intera zona. Sarebbe la scelta più giusta e saggia? Non lo so, ma ne dubito. Più forte è il sentimento (così diffuso non solo a Fratta) della speranza che presto tutto passerà, e che nulla di grave accadrà. Per adesso i miei frattaioli (come si chiamano in dialetto) preferiscono addormentarsi nel loro letto e fare affidamento nella benevolenza del Signore, nonostante si addormentino ogni notte proprio sulla schiena del terremoto, sul suo incognito epicentro. Speriamo bene. Cos’altro dire, fuor di retorica?

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