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La Camera dei Deputati

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L’incertezza che regna nella politica italiana spinge alla doppiezza. È la cifra che ci consente di interpretare una situazione dominata dall’ambiguità. Da un lato tutti spingono apparentemente per soluzioni radicali, dall’altro in maniera più coperta studiano vie d’uscita da un impasse che sta corrodendo la fiducia nelle istituzioni.

La manifestazione delle opposizioni a Roma è emblematica dello stato in cui ci troviamo. Sembrava una chiamata alle armi in vista di una spallata al governo che avrebbe portato con certezza alle elezioni anticipate addirittura approfittando del prossimo election day del 20 Settembre. In realtà tutti sanno benissimo che questo è impossibile per una banale ragione tecnica: si dovrebbero votare contemporaneamente un parlamento con l’attuale numero di membri e un referendum che ne taglia 345, per cui se questo ottenesse l’approvazione, come è molto probabile, ci troveremmo ad avere Camere con 345 abusivi. Un pasticcio che neppure in un paese che si sta abituando ad una certa disinvoltura costituzionale pare accettabile.

Dunque l’appello alle urne è demagogia e anche di bassa lega. Di qui la doppiezza: si invocano le urne, ma l’obiettivo è semplicemente quello di far cadere l’attuale governo, anche se non si sa poi dove si potrà approdare. Nel parlamento attuale i numeri per una maggioranza di centro destra non ci sono, a meno di non tornare all’alleanza coi Cinque Stelle, che però almeno Forza Italia, componente non marginale, non può accettare.

E allora? Non si sa, intanto va bene fare un po’ di sceneggiate per tenere calda l’atmosfera e per propiziarsi il risultato alla tornato di regionali ed amministrative a settembre. Inviti al dialogo sono liquidati come inviti a condividere qualche pasticcino nei salotti di Palazzo Chigi, né peraltro l’inquilino di quel luogo si prodiga per smentire questa narrazione.

Naturalmente c’è sempre la possibilità di fare un po’ di guerriglia parlamentare: con una maggioranza non proprio coesa gli spazi non mancheranno. Qui si dovrebbero vedere le contromosse della maggioranza, che pure conosce benissimo lo stato dell’arte. Ci vuol poco a capire che la maggioranza in senso proprio non c’è, perché siamo in presenza di un insieme di forze che remano ciascuna per conto proprio, con la complicazione che oltre ai partiti ormai c’è pure il premier che fa parte a sé.

Un dialogo per quanto dialettico con l’opposizione appare sempre più impossibile, per le ambiguità che abbiamo appena esaminato. Adesso poi tutto si complica col problema delle rivelazioni sul processo Berlusconi. Prendere in mano quello spinoso capitolo significherebbe terremotare non solo gli equilibri politici, ma anche quelli che governano i rapporti fra i partiti e la magistratura organizzata (che sulla vicenda non riesce ad esprimersi con quella autorevolezza nella ricerca della verità che la farebbe davvero uscire dal ruolo di uno degli attori delle lotte politiche).

Fissarsi su alcuni decreti simbolici non basta. Certo sia quello Rilancio che quello Semplificazioni (se giungerà finalmente in porto) affrontano temi cruciali, ma non sono risolutivi né della crisi che attraversano i partiti, né delle problematiche profonde che interessano la nostra struttura decisionale (qui è troppo semplice prendersela genericamente con “la burocrazia”, perché la faccenda è assai più intricata). Ci sono due nodi che sarebbe nell’interesse preminente di tutti sciogliere e che invece non si possono nemmeno discutere: l’accesso ai fondi del MES e la riforma della legge elettorale.

Il primo punto è notissimo, ma bisogna rimarcare che gli ostacoli non vengono solo dall’infantilismo ideologico dei Cinque Stelle, ma altrettanto dal populismo ottuso di Salvini e Meloni. Se non ci fossero questo ostacolo, la diga pentastellata crollerebbe in un attimo.

Il secondo punto è non meno importante: si tratta della riforma elettorale. Pare impossibile, ma non si riesce ad ottenere che si facciano i conti con la realtà italiana, anziché con le astratte e talora astruse teorie degli ingegneri politici. Un sistema maggioritario che consegni il paese ad una parte, relegando l’altra ad opposizione responsabile è difficile da proporre in un contesto in cui si è abituati che il vincitore fa nepotismo senza controlli. Su questo destra e sinistra non è che si differenzino gran che: vedi la RAI e le aziende pubbliche e sai subito di cosa parliamo. Aggiungiamoci che in questo momento non c’è alcuna vera omogeneità in nessuno dei due schieramenti che in ipotesi potrebbero contendersi il campo, sicché favorire un bipolarismo che non c’è in una politica con scarsa cultura della superiorità del tessuto istituzionale non pare una gran soluzione.

Un sistema proporzionale con sbarramento alto consente mobilità nella formazione delle maggioranze, il che non ci pare da rigettare vista la situazione che abbiamo davanti. Anche qui però, nell’incertezza totale del quadro che si profila si finisce nel regno di tutte le doppiezze possibili. Poco utile per far uscire il nostro paese dalla sua crisi.


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