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di NINO D’AGOSTINO

La bocciatura referendaria del ricorso all’energia nucleare ha rilanciato alla grande il proposito del Governo italiano di incrementare la produzione del petrolio in atto in Italia, già a partire da quest’anno.
Il ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, nel corso dell’assemblea dell’Unione petrolifera, ha ribadito che la Basilicata sarà la regione di punta nel settore estrattivo, dando per scontato che la produzione aumenterà di oltre 90 mila barili al giorno, ossia più del doppio di quella attuale.
Il governo vuole giustamente ridurre la dipendenza nazionale del petrolio dall’estero (analogo discorso intende fare per il gas) e punta sul petrolio lucano che potrebbe fornire oltre il 10% del fabbisogno nazionale.
Nel leggere le dichiarazioni del ministro Romani, ho avuto netta l’impressione che il ministro, come direbbe Trapattoni, parli di gatto prima di averlo nel sacco.
Illuminante mi sembra il commento del mio amico Ordenio, il poeta che lasciò la Basilicata negli anni ’60, allorché perse il posto di lavoro all’ente riforma nel giro di una nottata, quando i cacicchi democristiani locali si accorsero che era un socialista, appartenenza intollerabile per quei tempi, alla dichiarazione di Romani che recita così: ora gli portano via il petrolio per sanare l’economia, speriamo in un encomio o, almeno, in uno sputo sul petto, da sembrare, da lontano, una medaglia.
Il presidente della giunta regionale, De Filippo, ha avviato una trattativa col Governo e con le aziende estrattrici, sottoscrivendo un memorandum col governo nazionale, ponendo con forza sul tavolo le grandi questioni che frenano lo sviluppo lucano e che si possono sintetizzare1) nel rafforzamento della dotazione infrastrutturale, attualmente nettamente insufficiente, in termini di competitività ed attrattività del territorio, 2) nella difesa e rilancio dei grandi investimenti industriali, realizzati negli anni’90, 3) nella ripresa della occupazione, attraverso nuove attività economiche , a cominciare dalla individuazione di gruppo organico di imprese operanti nel settore dell’energia, avente rilievo internazionale , finalizzato a creare un vero e proprio distretto energetico in Basilicata ed alla realizzazione di un centro studi europeo sull’energia e sulla sicurezza energetica e di una scuola superiore di formazione sull’energia di tecnici da indirizzare verso il settore dell’energia, 4) nell’attivazione di programmi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio e di elevamento della qualità della vita collettiva ed individuale.
D’altro canto, i sindaci della Val d’Agri vogliono essere coinvolti direttamente nel negoziato, denunciando, in primo luogo, le asimmetrie informative, decisionali e relazionali che hanno finora tenuto fuori o ai margini della soglia delle negoziazioni gli enti locali.
Il sindaco di Viggiano, l’ing.Giuseppe Alberti, coglie ogni occasione utile per rimarcare che l’ambiente e la salute non sono elementi negoziabili e che occorre, dunque, cautelarsi ,predisponendo anche una legge regionale ad hoc che fissi i limiti delle emissioni conseguenti alle attività estrattive ed avviando azioni di monitoraggio realizzate direttamente dagli enti locali, da confrontare con le indagini avviate dagli altri enti interessati.
Prime risposte a tali legittime rivendicazioni sono venute concretamente dalla stessa Eni, l’azienda capofila delle multinazionali operanti in Val d’Agri, riguardanti un intervento di ammodernamento degli impianti, in corso di attuazione, approfittando della prima fermata generale dell’impianto di Viggiano , concepito nell’ambito di un progetto che l’Eni sta sperimentando di assorbimento, con tecnologie avanzatissime, di delle emissioni nocive, nell’ottica di conciliare la creazione di un parco nazionale della Val d’Agri che per definizione è area di eccellenza ambientale con una grande attività estrattiva che si porta dietro effetti di inquinamento ambientale di non lieve portata.
Entro luglio sarà stipulato l’accordo istituzionale Stato-Regione Basilicata e quindi a quella data capiremo i reali termini della negoziazione.
E’ in corso una partita difficilissima che vede situazioni ed interessi diversi, non necessariamente convergenti: lo Stato italiano, tramite l’Eni e la Cassa depositi e prestiti è ben dentro l’attività estrattiva, unitamente ad alcune multinazionali (Total, Shell), la Regione Basilicata non intende accontentarsi di risorse limitate, gli enti locali non vogliono essere esclusi.
Non si può dire che la Basilicata finora abbia ricevuto grandi impulsi alla crescita, connessi alla attività estrattiva. Gli effetti finora prodotti dal settore in esame hanno dato luogo ad una “euforia” economica molto circoscritta all’area estrattiva.
Ciò che ha rilievo è che lo Stato italiano e le aziende estrattive potranno ricevere dall’aumento di produzione benefici destinati a crescere( gettito fiscale, profitti), potendo contare su una minore incidenza dei costi fissi degli impianti già funzionanti per effetto dell’incremento di produzione e sull’aumento del prezzo del petrolio, dovuto alle fibrillazioni internazionali recenti.
La Basilicata dovrà fronteggiare maggiori problemi in termini di impatto ambientale, di difficoltà di valutazione dei suoi beni intangibili (come la salute della popolazione), di ripristino delle condizioni ex ante intervento estrattivo.
È di tutta evidenza che si sia di fronte ad uno scambio ineguale, con alcuni soggetti che danno le carte ed altri che devono accettarle in nome di un interesse generale, di cui sono parzialmente portatori.
In realtà, l’analisi costi-benefici per la Basilicata e per la Val d’Agri, è tutta da fare, avanti ad informazioni spesso carenti o spostate nel tempo.
A ben vedere, la Basilicata, nelle sue articolazioni istituzionali, non chiede “la luna nel pozzo. Pone anche in questa trattativa il problema di sempre: essere messa nelle condizioni di superare il divario che la separa dal resto del Paese. Spetta agli altri attori sociali contribuire a questo obiettivo.

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