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POTREMMO scomodare Eduardo De Filippo che scriveva: «Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!», oppure immaginare di mettere insieme comunità e istituzioni e dopo un confronto costruttivo e lontano da posizioni preconcette, arrivare ad una decisione comune che soddisfi l’esigenza primaria di una città (a maggior ragione dopo il riconoscimento di capitale europea della cultura): il diritto a produrre e usufruire di tutto ciò che appartiene all’espressione culturale.
Se c’è un vantaggio nel ripetitivo mantra su Matera che non ha un teatro, è quello che l’attenzione su questo argomento rimane alta e, ce lo auguriamo tutti, foriera di progetti che potrebbero trasformarsi in realtà.
La città se lo merita, così come gli spettatori illusi ancora di poter seguire nell’unico teatro disponibile, uno spettacolo senza ricorrere al tepore della sciarpa e del cappotto.
Prendere ancora tempo, riflettere ancora, non fa bene a nessuno, così come non fa bene aver relegato il Teatro dei Sassi in una periferia bucolica e campagnola, togliendogli una struttura per lasciarla invece alla gestione di un collettivo che avrebbe potuto organizzare le sue iniziative in un altro luogo.
Cosa vogliamo fare da grandi, allora? Vivere in una città in cui il teatro non sia sinonimo di scarpe in vernice e pelliccia o rassegnarci al meno peggio, a quello che passa il convento?
Il pubblico faccia il pubblico, il privato ciò che spetta alle sue competenze.
L’importante è che si possa discutere senza presunzione di beni che rimarranno nella storia: teatri, biblioteche, sale di musica e tutto ciò che consentirà ai più piccoli di uscire di casa per innamorarsi delle arti, per imparare dai grandi drammaturghi, per leggere pagine indimenticabili.
Si cresce anche così.

a.ciervo@luedi.it

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