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POTENZA – «Avrei preferito che il processo andasse avanti ancora un anno. Perché più a fondo si va nel delitto De Fina più ne esco pulito. Solo gli inquirenti non l’hanno capito, a meno che a processo non ci vada qualcuno di loro».
Aveva 39 anni Domenico De Fina quando suo padre, Egidio, è stato ucciso a bastonate nelle campagne di Senise. Oggi ne ha 53. La madre e il fratello hanno puntato il dito contro di lui dal primo momento. E’ finito a processo e martedì è stato assolto «per non aver commesso il fatto». Prove mancanti, insufficienti o contraddittorie, secondo i giudici della Corte d’assise di Potenza.
«A me interessa poco la formula. La cosa importante è che stata fatta una segnalazione oggettiva sulla falsa testimonianza di mia madre. Perché se lei avesse detto chi era davvero la vittima, che non abbiamo mai bevuto un bicchiere di acqua limpida in casa De Fina, che era separata da 15 anni e viveva in uno scantinato, credo che il giudice avrebbe pronunciato una sentenza diversa. Però se n’è accorto lo stesso e dà una chiave di lettura precisa. Anche perché tutti i soldi di mio padre sono in mano a mio fratello. Hanno inventato un mare di menzogne per distruggermi. Mi hanno addirittura tagliato la corrente in campagna dove avevo approntato un laboratorio. Mi hanno rapinato tutto, e da loro mi aspetto ancora tutto il male del mondo».

Nella sua requisitoria il pm ha detto che lei lancia «vigliaccamente» accuse sua madre e suo fratello.

«Io non lancio sospetti. Io lancio certezze che loro si sono guardati bene da verificare. Perché sono sotto gli occhi di tutti. Il pm che era in aula è arrivato da un paio di udienze. Per questo sono uscito quando ha parlato. A me interessa solo quello che ha detto il giudice. Lo schifo che è accaduto sul caso De Fina mi lascia interdetto. Io ogni volta che sono andato davanti a un giudice da Lagonegro alla Corte d’assise sono stato assolto. In Basilicata c’è un sacco di gente che è morta e non si sa com’è morta per colpa di queste cose qua. Ci sono persone assunte come posteggiatori che fanno gli investigatori. E si coprono le spalle l’uno con l’altro. Io vado in Corte d’assise dopo che mi sono state costruite addosso un mare di menzogne, e su che prove chiedono l’ergastolo? Un bastone che dicono di aver preso a casa mia, ma nel verbale di sequestro non c’è. E le dichiarazioni di un pazzoide pluripregiudicato, dichiarato incapace di intendere e di volere: favolose, scritte in maniera esemplare. Sembrava un professore questo qui».

Il pm in aula ha affermato che la pista alternativa non è credibile perché altrimenti, se davvero sua madre e suo fratello avessero voluto diseredarla, si sarebbero costituiti parte civile.

«(ride, ndr) Ma lo sa che se Gubitosi mi avesse condannato sarei stato automaticamente diseredato? Non si può ereditare nulla da qualcuno che si è ucciso. Che cosa si dovevano costituire a fare? Io, adesso, sarei erede come loro. Infatti tra il 2003 e il 2004 ero andato in campagna perché avevo bisogno di un posto per lavorare, lontano da loro, e avevo forzato una porta per entrare. Però subito è spuntato mio fratello urlando e sono stato accusato di violazione dei sigilli della magistratura. Nonostante fosse stato già disposto il dissequestro. Come si fa? La mano destra non sa cosa fa la mano sinistra. Hanno sentito in aula vari testimoni che hanno raccontato che mia madre narcotizzava mio padre tutti i santi giorni e hanno creduto ancora alla storia della famiglia perfetta».

La procura dice che è stato lei a narcotizzare entrambi.

«Questo è quello che dice la procura. Ma io non avevo nessun rapporto con loro. Non andavo a mangiare con loro. Non avevo le chiavi di casa. Come facevo a narcotizzarlo io?»

E suo padre non si è mai accorto di nulla?

«Non lo so, ma penso di no altrimenti avrebbe fatto una strage lì. Forse pensava di stare male perché ha avuto un tumore all’occhio. Io sono stato a Milano vent’anni e un paio d’anni prima che morisse è venuto da me, e l’ho portato a Verona nel miglior ospedale che c’era. Sono andato a prenderlo in treno a Bari da loro che saltavano dalla felicità. Me ne potevo fregare, invece ho lasciato il lavoro, mia moglie e mia figlia. E’ stato tre mesi a casa mia dopo che è stato dimesso. E’ stato benissimo e l’ha detto anche mia moglie in tribunale. E’ venuto tante volte a Verona e sa chi è salito a trovarlo? Nessuno. Soltanto io».

Vuol dire che aveva un rapporto migliore con suo padre di sua madre e suo fratello?

«Ha capito bene. Io sapevo com’era e lo evitavo. Quando aveva bisogno però, io mi prodigavo. Cioè, se il giorno prima lo incontravo per caso e mi trattava male, come faceva di solito, io facevo finta di niente. Se poi il giorno dopo io vedevo che aveva bisogno di me io quei rancori li mettevo da parte subito. E non sono chiacchiere. Io l’ho portato a Verona. Io ho portato i soldi a mia madre quando ne aveva bisogno litigando con mia moglie».

Una volta tornato a Senise, però, i soldi sarebbero diventati un problema anche per lei.

«Voi dite così perché non avete idea di chi sia io professionalmente. Io a Milano avevo 3, 4 bigliettini da visita. Ho almeno 20, 30 mestieri. Io mi sono sempre detto: “sono quello che penso e quello che so fare”. A differenza di mia madre e mio fratello per cui conta solo quello che hanno. “A robba, a robba”. Io sono idraulico, elettricista, posso fare di tutto: impianti hi-fi, cinema, tettoie in legno, pavimenti. Posso farle vedere i miei lavori in qualsiasi momento».

Però si è fatto assistere col gratuito patrocinio.

«Quando sono tornato in Basilicata volevo aprire un’impresa edile. Ma con un mare di cani che ti vogliono azzannare come si fa? Quando sono entrato in campagna perché avevo bisogno di uno spazio per il laboratorio hanno chiamato subito i carabinieri e sono finito sotto accusa».

Sua madre ha detto che voleva farci una discoteca.

«Non ho mai nemmeno immaginato una cosa del genere. Io ascolto musica Jazz. Sarò stato una volta in discoteca in tutta la mia vita, e non mi piace la gente che ci va. Qui si sono divertiti con me. Perché se uno è in una posizione dove può dire quello che vuole, e la persona dall’altra parte ha scarsi mezzi per difendersi, è chiaro che ci si diverte. Specie se si hanno certe inclinazioni. Hanno inventato storielline e se ne sono fregati di come stavano davvero le cose. E’ la libidine, il desiderio di possesso che smuove le coscienze, le persone e le cose. Quando è stata fatta la divisione dei beni di mio padre tutti gli attrezzi agricoli nuovi, i trattori e il resto, sono finiti a mia madre. Una donna di 75anni. Allora chi è che li usati? I magistrati sono stati 14 anni affogati dalle menzogne».

Lo sa che la procura potrebbe fare appello contro questa sentenza?

«Certo, e voglio vedere cos’altro si inventeranno. Ma a quel punto chiederò che vengano fatte le analisi su quel bastone che hanno detto di aver trovato a casa mia. Io non sono preoccupato. Sono loro che hanno perso credibilità. L’opinione pubblica in un paese piccolo le cose le capisce. Basta chiedere a Senise cosa ne pensa la gente del caso De Fina. Durante il processo il giudice è cambiato due volte e potevo far ricominciare tutto da capo, ma ho sempre detto di andare avanti lo stesso. Quando sono venuti i Ris non sono andato a Roma: mi sono offerto subito di fare il prelievo di Dna. Perché io sono sicuro dei fatti miei, loro no. Loro dovrebbero preoccuparsi. Contro di me hanno tentato di costruire tutte le assurdità di questo mondo. Per questo se vogliono far finta di aver visto me nella palla di vetro uccidere mio padre, nonostante io ho portato una testimone che dice che sono stato con lei, allora sono contento. Dimostratelo però. Perché noi mica campiamo 10mila anni: 14 anni su una vita media di 70, 80 anni non sono mica pochi. Con tutti gli annessi e i connessi. I rapporti con la gente, i rapporti professionali. I costi. Io da quando è iniziata questa storia non ho più visto mia figlia. L’ho lasciata a 4 anni e adesso ne ha 18. Ho perso tutti i rapporti. Da una bambina è diventata una signorina. Si è pure fidanzata in casa».

Crede di riuscire a ricucire con lei dopo questa sentenza?

«Sono sicuro di sì. Non credo che dipendeva completamente da questo. Ma quando uno sente una cosa così si cristallizza tutto. E’ come una tempesta di ghiaccio nel mese di agosto. Anche perché non è che ti puoi riscattare da un giorno all’altro. Qua si capisce solo quando comincia. Ma non si capisce mai quando ne esci. Sa quante volte sono stato convinto che era finita?»

l.amato@luedi.it

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