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LA RECENTE sentenza sui tre operai della Fiat licenziati e reintegrati (con tanto di indennizzo), ma soprattutto il dibattito che a livello nazionale sta animando la politica, ha riacceso i riflettori sull’articolo 18.

Un “tema” caro non solo ai sindacalisti, ma anche a coloro che vedono nella sua abolizione, uno strumento da cui far ripartire l’economia.

Insomma il “totem ideologico” – così definito dallo stesso Renzi – continua a scuotere le coscenze tra chi lo vorrebbe cancellare e chi ne fa una “questione di civiltà”.

Il “caso” di Barozzino, Lamorte e Pignatelli ha fatto scuola in questo senso, con la Fiat condannata al reintegro e al pagamento di un risarcimento.

«E’ un’importante sentenza – ha detto in una nota il segretario lucano della Fiom, Emanuele De Nicola – che dimostra ancora di più la validità dell’articolo 18, che in questi giorni si sta tentando di cancellare, contro l’ingiustizia dei licenziamenti discriminatori che non possono essere barattati con i risarcimenti economici». Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil non ha mai nascosto la sua contrarietà all’abolizione della legge e la sua posizione è chiara.

Tant’è che è già in programma per il 18 ottobre prossimo una manifestazione a difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori.

«I problemi dell’economia lucana e italiana non dipendono da questa legge  – aggiunge De Nicola – ma vanno ricercati altrove e cioè nella mancanza di investimenti pubblici e privati, nella tassazione sul lavoro e anche dalle banche che non prestano i soldi. E poi – riprende – la riforma dell’articolo 18 della Fornero non ha prodotto nessun posto di lavoro, ma soltanto licenziamenti. Lo dicono gli ultimi dati pubblicati dall’Istat e dall’Ocse».

Per la Fiom, dunque è un falso problema montato ad arte per distogliere l’opinione pubblica da quelle che sono le “reali” difficoltà economiche del paese.

«Un lavoratore ingiustamente licenziato – ha concluso il sindacalista – costituzionalmente deve essere reintegrato».

Sul tema, intanto, è stata registrata una certa apertura da parte del segretario della Cgil, Susanna Camusso. Intervendo a “Porta a Porta” ha sostenuto che: «se si parla di allungare il periodo di prova, sono per discutere dei tempi. Se il periodo di prova deve essere maggiore dobbiamo parlarne. Sento parlare di tre o sette anni, non è la stessa cosa. Comunque possiamo discuterne».

E ha aggiunto: «Quello che non va bene è che quel lavoratore non raggiungerà mai le tutele che hanno gli altri».

E su un paventato sciopero non si è detta possibilista.

«Valuteremo. La Cgil non vuole lo scontro con l’esecutivo sulla riforma del lavoro ma è il governo – ha concluso – che la sta costringendo ad un conflitto».

g.rosa@luedi.it

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