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di FRANCESCA AVENA*
BASTA un po’ di curiosità per rendersi conto di quanto la realtà mediatica differisca da quella effettiva. Un titolo accalappiacopie o accalappiaclick può presentare un fatto nel modo esattamente opposto a quello che è: così una “mega frana nello Jonio: l’allarme degli esperti”  – notizia presentata nuda e cruda in queste poche parole (le scriveva Meteoweb.it a fine settembre) – può sembrare il peggiore dei pericoli in agguato. Apocalisse, distruzione, uomini malvagi e ritornelli a cui è difficile restare indifferenti (dopotutto, anche se la crisi dell’uomo del Novecento ci ha resi cinici e individualisti, lo spirito di autoconservazione lo abbiamo ancora e pure ben intatto). 
Il dubbio è un dovere: per questo, dopo aver letto annunci devastanti come quello di cui sopra, noi di Basilicon Valley abbiamo voluto capirci di più e sapere se davvero la situazione sia grave come viene raccontato. Abbiamo interpellato il professor Marcello Schiattarella, docente di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università di Basilicata.  I nostri sospetti erano fondati: dall’intervista è venuto fuori che si è trattato di un immotivato allarmismo all’italiana (quello tipico del grillino da palcoscenico o del barbaradursino errante per lo Stivale, per intenderci).  “Mega landslide”: si chiama così, in termini tecnici, la mega frana individuata da ricercatori italiani nei fondali del mar Jonio e di cui è stata prodotta una pubblicazione su una rivista internazionale. Immediatamente dopo, ad avvalorare la tesi (giornalistica) della pericolosità del fenomeno era stata l’ipotesi di future nuove trivellazioni nel terreno lucano. Nulla di fondato, a detta del professor Schiattarella:  la frana sottomarina avviene anche in altre regioni geologiche del mondo – e nello specifico in tutte quelle aree in cui viene registrata una normale attività delle catene montuose: per questo è importante ridimensionare i termini (o usare quelli appropriati) con cui si parla di quest’argomento.
Nell’analisi dei fenomeni franosi sottomarini, gli elementi imprescindibili da cui dipanare la costruzione di tesi e ipotesi, sono tre: dinamica dello strato sottomarino,  dimensioni dei corpi attivi e velocità con cui si muovono (quest’ultimo, nel nostro caso specifico, è quello più rilevante). La “mega landslide” ballerina dello Jonio, si sposta dagli  0,5 agli 0,7 millimetri all’anno: un movimento che rientra in parametri del tutto del normali. Per ridimensionare l’allarmismo cui si è soliti ricorrere, come ha tenuto a chiarire il professor Schiattarella, è necessario allora prendere coscienza del fatto che  vivere in un Paese geologicamente attivo ci espone di per sé a fenomeni di questo tipo, che – resta innegabile – hanno una pericolosità intrinseca. Dopotutto, “siamo insediati su orogeni attivi che si stanno innalzando e deformando”, ha detto Schiattarella. 
“A dover tenerci in allerta – ha aggiunto il professore – sono i metodi con cui vengono costruite le città e le infrastrutture, insieme alla strutturazione delle strategie urbanistiche”. Qualche esempio? Il catastrofico terremoto in Val d’Agri, che nel 1857 rase al suolo interi comuni o quello dell’ Irpinia nel 1980. In conclusione, il messaggio del prof. Schiattarella ci impone una riflessione ben più profonda: “E’ la politica che deve sentirsi allarmata dalle crisi idrogeologiche”.
Già, perché non dobbiamo dimenticare che spesso gli interessi di palazzinari o di uomini dal cemento facile sono più distruttivi di qualsiasi fenomeno naturale. In questo senso la politica e le amministrazioni devono impegnarsi a stabilire una cultura ambientale. 
L’informazione, invece, deve riflettere sull’importanza di gestire in modo responsabile le notizie, distinguendole dalle supposizioni e dalle concrezioni che non poggiano su dimostrazioni scientifiche precise. La natura non è una matrigna, accusa ogni colpo e reagisce di conseguenza, ma su quelle conseguenze non si può costruire una pseudo-scienza, da sventolare in campagne di rifiuto aprioristico dei dati reali. Le trivellazioni dell’Eni non ci piacciono, certo, ma per ora i dati reali dimostrano che la frana nello Jonio è un fenomeno che ha un’eziologia che non le riguarda e che quindi non ne verrà influenzato. Crediamo sia una buona notizia.  
*curatrice assieme a  Simonetta Sciandivasci del blog Basiliconvalley

Basta un po’ di curiosità per rendersi conto di quanto la realtà mediatica differisca da quella effettiva. Un titolo accalappiacopie o accalappiaclick può presentare un fatto nel modo esattamente opposto a quello che è: così una “mega frana nello Jonio: l’allarme degli esperti”  – notizia presentata nuda e cruda in queste poche parole (le scriveva Meteoweb.it a fine settembre) – può sembrare il peggiore dei pericoli in agguato. Apocalisse, distruzione, uomini malvagi e ritornelli a cui è difficile restare indifferenti (dopotutto, anche se la crisi dell’uomo del Novecento ci ha resi cinici e individualisti, lo spirito di autoconservazione lo abbiamo ancora e pure ben intatto). Il dubbio è un dovere: per questo, dopo aver letto annunci devastanti come quello di cui sopra, noi di Basilicon Valley abbiamo voluto capirci di più e sapere se davvero la situazione sia grave come viene raccontato. 

 

Abbiamo interpellato il professor Marcello Schiattarella, docente di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università di Basilicata.  I nostri sospetti erano fondati: dall’intervista è venuto fuori che si è trattato di un immotivato allarmismo all’italiana (quello tipico del grillino da palcoscenico o del barbaradursino errante per lo Stivale, per intenderci).  “Mega landslide”: si chiama così, in termini tecnici, la mega frana individuata da ricercatori italiani nei fondali del mar Jonio e di cui è stata prodotta una pubblicazione su una rivista internazionale. Immediatamente dopo, ad avvalorare la tesi (giornalistica) della pericolosità del fenomeno era stata l’ipotesi di future nuove trivellazioni nel terreno lucano. 

Nulla di fondato, a detta del professor Schiattarella:  la frana sottomarina avviene anche in altre regioni geologiche del mondo – e nello specifico in tutte quelle aree in cui viene registrata una normale attività delle catene montuose: per questo è importante ridimensionare i termini (o usare quelli appropriati) con cui si parla di quest’argomento.Nell’analisi dei fenomeni franosi sottomarini, gli elementi imprescindibili da cui dipanare la costruzione di tesi e ipotesi, sono tre: dinamica dello strato sottomarino,  dimensioni dei corpi attivi e velocità con cui si muovono (quest’ultimo, nel nostro caso specifico, è quello più rilevante). 

La “mega landslide” ballerina dello Jonio, si sposta dagli  0,5 agli 0,7 millimetri all’anno: un movimento che rientra in parametri del tutto del normali. Per ridimensionare l’allarmismo cui si è soliti ricorrere, come ha tenuto a chiarire il professor Schiattarella, è necessario allora prendere coscienza del fatto che  vivere in un Paese geologicamente attivo ci espone di per sé a fenomeni di questo tipo, che – resta innegabile – hanno una pericolosità intrinseca. Dopotutto, “siamo insediati su orogeni attivi che si stanno innalzando e deformando”, ha detto Schiattarella. 

“A dover tenerci in allerta – ha aggiunto il professore – sono i metodi con cui vengono costruite le città e le infrastrutture, insieme alla strutturazione delle strategie urbanistiche”. Qualche esempio? Il catastrofico terremoto in Val d’Agri, che nel 1857 rase al suolo interi comuni o quello dell’ Irpinia nel 1980. In conclusione, il messaggio del prof. Schiattarella ci impone una riflessione ben più profonda: “E’ la politica che deve sentirsi allarmata dalle crisi idrogeologiche”.

Già, perché non dobbiamo dimenticare che spesso gli interessi di palazzinari o di uomini dal cemento facile sono più distruttivi di qualsiasi fenomeno naturale. In questo senso la politica e le amministrazioni devono impegnarsi a stabilire una cultura ambientale. L’informazione, invece, deve riflettere sull’importanza di gestire in modo responsabile le notizie, distinguendole dalle supposizioni e dalle concrezioni che non poggiano su dimostrazioni scientifiche precise. La natura non è una matrigna, accusa ogni colpo e reagisce di conseguenza, ma su quelle conseguenze non si può costruire una pseudo-scienza, da sventolare in campagne di rifiuto aprioristico dei dati reali. Le trivellazioni dell’Eni non ci piacciono, certo, ma per ora i dati reali dimostrano che la frana nello Jonio è un fenomeno che ha un’eziologia che non le riguarda e che quindi non ne verrà influenzato. Crediamo sia una buona notizia.  

*curatrice assieme a  Simonetta Sciandivasci del blog Basiliconvalley

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