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POTENZA – L’esempio delle cose che in Italia non vanno? La Basilicata, dove si potrebbe raddoppiare le estrazioni portando 2 miliardi di royalties nelle casse dello Stato. Attenzione: non dei territori. Più 10 miliardi risparmiati. Ma la «diluizione del processo decisionale» lo impedisce, e si diventa vittime «dell’incapacità di perseguire uin obiettivo vcon velocità», mentre «mondo va troppo veloce per aspettare chi è lento».
C’è andato giù duro il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, al Meeting di Comunione e liberazione in corso a Rimini commentando a distanza di 24 ore l’intervento del premier Enrico Letta sulle colonne di Milano Finanza. 
Intervistato da Carla Signorile il chairman della compagnia del cane a sei zampe di Sinisgalli ha preso spunto dalla riflessione del presidente del Consiglio sulle regole che non hanno funzionato. Di qui l’attacco alla «sovrapposizione di regole e controllori che ha diluito la chiarezza del processo decisionale». Da una parte l’incapacità di decidere, e dall’altra quella di colpire i responsabili di tutto ciò. In concreto? Ovvio che sia il tema del petrolio quello d’interesse. Infatti Recchia spiega che l’Italia potrebbe diventare il terzo produttore di greggio in Europa dopo la Norvegia e l’Inghilterra, nonostante qualcuno creda ancora che non esistano giacimenti. La Basilicata ne è «ricca». Lì si potrebbero raddoppiare le estrazioni, che porterebbero 2 miliardi di euro di «royalties aggiuntive» nelle casse dello Stato da sommare ad altri 10 miliardi che verrebbero risparmiati  «per acquisti e importazioni». Per questo però servirebbero 15 miliardi di investimenti «che non si affrontano per via di una mancanza di strategia Paese». Perciò la richiesta di un nuovo modello di governo dei processi che misuri le performance di un ente nel concedere un’autorizzazione, o misuri la trasparenza di un partito. Anche per ridare senso ai discorsi sulla meritocrazia delle competenze e della capacità decisionali. Se necessario anche ricorrendo a una modifica della Costituzione. 
Impossibile non cogliere nelle parole di Recchi l’eco di quelle pronunciate domenica dal responsabile Energia di Nomisma, Davide Tabarelli, che aveva proposto l’abolizione delle royalties a favore di una nuova forma di fiscalità per lo Stato e sanzioni per le regioni che dicono no alle trivelle. Quest’ultimo – però – non si era mai rivolto in maniera espressa alla Basilicata, mentre il presidente del gruppo di San Donato ha deciso di puntare dritto sull’obiettivo. Un messaggio indirizzato a via Verrastro, dove giace da almeno due anni il piano industriale dell’Eni che prevede l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri fino a 130mila barili al giorno, dai 104mila oggi autorizzati. Ma in modo che da Roma arrivi all’orecchio delle stanze che contano: Letta in primis, e poi chi non ha smesso di ragionare di riforme, incluso un passo indietro sul Titolo V della Costituzioni e le competenze attribuite alle Regioni in materia di opere di rilevanza strategica nazionale. Per chi ha memoria: il piano dell’ex ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera. 
Si farà? Verranno centralizzati di nuovo i luoghi delle decisioni su petrolio ed energia? Le pressioni perché accada dopo le parole di Recchi sono venute allo scoperto, come pure il braccio di ferro in corso con la Regione Basilicata. E i parlamentari lucani? Al Meeting di Cl sono diversi quelli di casa, come l’onorevole pidiellino Cosimo Latronico. Non può essere un caso che sia stato proprio lui il primo a proporre un «accordo per lo sviluppo» della regione da finanziare con i soldi dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri attraverso gli stumenti previsti dal Memorandum e disegnati dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni approvato dal Governo Monti. Resta da capire quanto appeal può avere a sinistra una prospettiva di questo tipo. Al di là dei professori di Nomisma. Specie in campagna elettorale.
l.amato@luedi.it
  

POTENZA – L’esempio delle cose che in Italia non vanno? La Basilicata, dove si potrebbe raddoppiare le estrazioni portando 2 miliardi di royalties nelle casse dello Stato. Attenzione: non dei territori. Più 10 miliardi risparmiati. Ma la «diluizione del processo decisionale» lo impedisce, e si diventa vittime «dell’incapacità di perseguire uin obiettivo vcon velocità», mentre «mondo va troppo veloce per aspettare chi è lento».

 

C’è andato giù duro il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi, al Meeting di Comunione e liberazione in corso a Rimini commentando a distanza di 24 ore l’intervento del premier Enrico Letta sulle colonne di Milano Finanza. Intervistato da Carla Signorile il chairman della compagnia del cane a sei zampe di Sinisgalli ha preso spunto dalla riflessione del presidente del Consiglio sulle regole che non hanno funzionato. Di qui l’attacco alla «sovrapposizione di regole e controllori che ha diluito la chiarezza del processo decisionale». Da una parte l’incapacità di decidere, e dall’altra quella di colpire i responsabili di tutto ciò. 

In concreto? Ovvio che sia il tema del petrolio quello d’interesse. Infatti Recchia spiega che l’Italia potrebbe diventare il terzo produttore di greggio in Europa dopo la Norvegia e l’Inghilterra, nonostante qualcuno creda ancora che non esistano giacimenti. 

La Basilicata ne è «ricca». Lì si potrebbero raddoppiare le estrazioni, che porterebbero 2 miliardi di euro di «royalties aggiuntive» nelle casse dello Stato da sommare ad altri 10 miliardi che verrebbero risparmiati  «per acquisti e importazioni». Per questo però servirebbero 15 miliardi di investimenti «che non si affrontano per via di una mancanza di strategia Paese». 

Perciò la richiesta di un nuovo modello di governo dei processi che misuri le performance di un ente nel concedere un’autorizzazione, o misuri la trasparenza di un partito. Anche per ridare senso ai discorsi sulla meritocrazia delle competenze e della capacità decisionali. 

Se necessario anche ricorrendo a una modifica della Costituzione. Impossibile non cogliere nelle parole di Recchi l’eco di quelle pronunciate domenica dal responsabile Energia di Nomisma, Davide Tabarelli, che aveva proposto l’abolizione delle royalties a favore di una nuova forma di fiscalità per lo Stato e sanzioni per le regioni che dicono no alle trivelle. 

Quest’ultimo – però – non si era mai rivolto in maniera espressa alla Basilicata, mentre il presidente del gruppo di San Donato ha deciso di puntare dritto sull’obiettivo. Un messaggio indirizzato a via Verrastro, dove giace da almeno due anni il piano industriale dell’Eni che prevede l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri fino a 130mila barili al giorno, dai 104mila oggi autorizzati. 

Ma in modo che da Roma arrivi all’orecchio delle stanze che contano: Letta in primis, e poi chi non ha smesso di ragionare di riforme, incluso un passo indietro sul Titolo V della Costituzioni e le competenze attribuite alle Regioni in materia di opere di rilevanza strategica nazionale. Per chi ha memoria: il piano dell’ex ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera. 

Si farà? Verranno centralizzati di nuovo i luoghi delle decisioni su petrolio ed energia? Le pressioni perché accada dopo le parole di Recchi sono venute allo scoperto, come pure il braccio di ferro in corso con la Regione Basilicata. 

E i parlamentari lucani? Al Meeting di Cl sono diversi quelli di casa, come l’onorevole pidiellino Cosimo Latronico. Non può essere un caso che sia stato proprio lui il primo a proporre un «accordo per lo sviluppo» della regione da finanziare con i soldi dell’aumento delle estrazioni in Val d’Agri attraverso gli stumenti previsti dal Memorandum e disegnati dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni approvato dal Governo Monti. Resta da capire quanto appeal può avere a sinistra una prospettiva di questo tipo. Al di là dei professori di Nomisma. Specie in campagna elettorale.

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