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Il presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria, Luigi Gueli, con la sua relazione ha inaugurato l’anno giudiziario nel distretto di Reggio Calabria. Gueli ha posto in rilievo «innanzitutto l’insufficienza degli organici, ma si è detto soprattutto preoccupato dell’esito dei sondaggi che purtroppo mostrano sempre meno fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, anche se la giustizia appare in lenta risalita. Il nostro sistema legislativo appare sempre più lento, farraginoso, barocco, mentre certe esigenze richiederebbero interventi molto più rapidi ed incisivi corrispondenti ai tempi moderni che li reclamano».
Gueli ha definito «sconcertante la ‘guerra’ intervenuta tra le istituzioni e lo scambio di accuse fra le stesse ormai a livello di rissa permanente e di veri e propri insulti personali che allontana sempre di più pericolosamente i cittadini dalla vita pubblica con ricadute che potrebbero incidere sulla stessa tenuta democratica del Paese. E sottolineo questa circostanza con profondo rammarico». Il presidente della Corte d’Appello, con riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e comune, ha detto che essa è sempre più intensa e costellata di successi, procede con ritmi sempre più crescenti grazie alla capacità professionale del procuratore della Repubblica distrettuale dott. Giuseppe Pignatone ed ai giovani e meno giovani valenti magistrati e alla proficua e preziosa operatività delle forze dell’ordine».
Nel prosieguo della sua relazione, in particolare, il presidente della Corte d’appello ha fatto riferimento al cosiddetto patrocinio gratuito per gli imputati in particolare stato di indigenza economica. «La spesa – ha detto Gueli – è aumentata a 2.747.959 euro, con un incremento rispetto all’anno precedente considerato pari al 13,71%. È inutile ricordare ancora una volta che la sussistenza dei presupposti di tale forma di difesa è di difficile controllo basandosi su una semplice autocertificazione per cui è possibile che tali somme siano destinate a ‘ndranghetisti pensionati con redditi bassi ma con patrimoni di milioni di euro, come casualmente ogni tanto si scopre».
Sui tempi della giustizia, Gueli ha detto che il cittadino «ne è la prima vittima e, al contempo, permanente creditore nei confronti dello Stato. In un rapporto del Consiglio d’Europa si dice che il nostro Paese è quello che spende di più per la giustizia, anche se questo non si traduce in una maggiore efficienza. Come esempio, basta ricordare che la spesa pro-capite per la giustizia in Italia ammonta a 72 euro contro i 58 della Francia». Gueli, ancora, in presenza del cattivo funzionamento della giustizia, ha sollecitato gli stessi magistrati «ad essere protagonisti per riformarla, in un percorso che deve coinvolgere gli avvocati perchè occorrerà incidere su quei meccanismi che consentono tattiche dilatorie».
Sulle riforme della giustizia pendenti in Parlamento, come le intercettazioni e il processo breve, Gueli ha detto che «sono ormai ferme su un binario morto e, aggiungo io, con molto sollievo da parte della magistratura per la necessità delle intercettazioni quale strumento essenziale per le indagini, e per l’inutilità del cosiddetto processo breve che si sarebbe tradotto in una semplice prescrizione abbreviata e con la rinuncia implicita alla necessaria attività punitiva dello Stato».
Il presidente della Corte d’appello, ha voluto anche sottolineare la positività di «seppure ancora timide reazioni, di solidarietà nei confronti di magistrati e operatori dell’informazione colpiti negli ultimi tempi da numerosi atti di gravi intimidazioni. Queste reazioni comunque – ha detto Gueli – fanno ben sperare per il futuro e hanno contribuito a fare uscire il Distretto giudiziario da quello che è stato definito dal dott. Pignatone il cono d’ombra che avvolge la regione».
Gueli ha voluto anche rimarcare che «la Calabria ha al suo negativo palmares un’altra maglia nera. Secondo la sezione di controllo della Corte dei conti, la Calabria ha utilizzato soltanto il 36% dei beni confiscati alla ‘ndrangheta nel biennio 2008-2009. In Calabria infatti – ha sottolineato Gueli – nel 2008 Regione e Provincia non hanno mai chiesto assegnazione dei beni alla stregua di tutti gli altri enti territoriali interessati al fenomeno malavitoso. Il che rappresenta non solo una dichiarazione di resa dello Stato ma anche una frustrazione per i magistrati che si adoperano in questo delicatissimo settore».

L’INTERVENTO DI PIGNATONE
Nella sua relazione, il procuratore distrettuale della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, in premessa, ha parlato di «assoluta insufficienza dell’organico, ancor più grave in quanto questo ufficio deve fronteggiare l’eccezionale carico di lavoro derivante dalla presenza in questa provincia dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, unanimemente riconosciuta come la più potente, pericolosa e ricca delle organizzazioni criminali operanti oggi in Italia e in Europa.
È chiaro che questa pesante carenza del personale di magistratura non può non avere ripercussioni negative sulla situazione generale dell’Ufficio. Ritengo opportuno evidenziare che il primo provvedimento per assicurare il buon funzionamento dell’Ufficio e, nell’ambito di questo, anche quel profilo di particolare importanza che è costituito dal corretto esercizio dell’azione penale, è stato l’adozione di nuovi criteri di organizzazione di questa Procura ordinaria».
Di seguito, Pignatone ha sottolineato «la presenza massiccia anche in termini numerici della ‘ndrangheta che non trova riscontro in altre organizzazioni mafiose operanti in Italia. Basti pensare che dalle indagini in corso è risultato che in cittadine di dieci-quindicimila abitanti vi sono 3-400 affiliati ai ‘localì di ‘ndrangheta, numero che probabilmente oggi si raggiunge con difficoltà in una città come Palermo».
Pignatone inoltre ha evidenziato «l’indice di densità criminale, relativo al coinvolgimento, a diverso titolo, in attività illecite, stimato al 27% della popolazione, a fronte del 12% in Campania, del 10% in Sicilia e del 2% in Puglia». Il capo della Procura distrettuale di Reggio Calabria, inoltre, ha ribadito «il radicamento della ‘ndrangheta nel tempo e nella società, come emerge dai procedimenti penali a carico delle famiglie Piromalli di Gioia Tauro e Bellocco di Rosarno».
Pignatone, ha posto in evidenza «un altro fattore di trasformazione della ‘ndrangheta, sicuramente costituito dalla progressiva internazionalizzazione, che ha portato alla costituzione di basi operative e gruppi di riferimento sul territorio dell’Unione europea e non solo. In proposito non può non farsi riferimento al caso Duisburg ovvero alla scelta stragista pianificata e portata poi in esecuzione con particolare ferocia da alcune consorterie di San Luca in territorio tedesco».
Un ulteriore elemento negativo tra gli strumenti di contrasto alla ‘ndrangheta, Pignatone lo ha indicato «nell’assenza ormai da molti anni di collaboratori di giustizia di significativo rilievo e di sicura affidabilità che sono, come l’esperienza in altre regioni d’Italia dimostra, lo strumento fondamentale per ricostruire compiutamente la struttura, le dinamiche interne e le relazioni esterne delle organizzazioni mafiose. In questo contesto sono state assolutamente, pur se da sole e non sempre sufficienti ai fini sopra indicati, le intercettazioni telefoniche ed ambientali». Pignatone, inoltre, ha definito «assolutamente negativo il disinteresse che abitualmente caratterizza l’atteggiamento dei mezzi di informazione sulla Calabria e i suoi problemi, a cominciare dalla ‘ndrangheta. Questo disinteresse è venuto meno dall’inizio del 2010 grazie ai fatti delittuosi e alla continua e concreta presenza delle istituzioni.
Questa presenza deve continuare altrimenti la situazione per la Calabria e per chi lavora per il suo sviluppo nella legalità, sarà anche peggiore di prima». Pignatone ha parlato di «famiglie mafiose ormai facenti parte con i loro rappresentanti della borghesia, così da potersi parlare di vere e proprie dinastie mafiose. L’individuazione e il perseguimento in sede giudiziaria di componenti significativi della cosiddetta zona grigia, di esponenti cioè della politica, delle istituzioni, delle professioni, dell’imprenditoria, a volte con legami massonici, forniscono alla criminalità organizzata ed in particolare alle dinastie mafiose, occasione di grandi arricchimenti e, a volte, garanzia di impunità».
Giuseppe Pignatone, ha ricordato il processo «contro Domenico Crea, ex consigliere regionale, subentrato in Consiglio regionale dopo l’omicidio di Francesco Fortugno, e il processo nei confronti di Pasquale Inzitari, esponente politico, amministratore locale e imprenditore, condannato in primo grado per reati di mafia».

L’INTERVENTO DEL PROCURATORE DI LANDRO
Lo scorso anno «è stato caratterizzato da una delle più sconcertanti vicende proponibili nel panorama giudiziario italiano, di tale rilievo da potersi affermare che qui è stata scritta una pagina, e neppure minore, della storia del nostro Paese». Così il Procuratore Generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, all’inaugurazione dell’anno giudiziario: «I fatti assumono – ha aggiunto – per certi versi aspetti sconvolgenti e si dipanano in termini del tutto abnormi. Il mio ufficio e la mia persona hanno subito l’assalto della criminalità organizzata, assalto esteso a tutta la magistratura quale presidio e strumento di attuazione della legge. Mai un ufficio di così alto lignaggio era stato oggetto di attacchi criminali a suon di bombe; mai una sequela così grave di autentici attentati era stata diretta alla persona del procuratore generale. Tutto questo in un quadro tenebroso che vede anche tanti altri magistrati nel mirino di una criminalità organizzata, ferita ma tuttora virulenta, che reagisce ai colpi inferti ponendosi su un terreno di scontro inconcepibile in una società civile».
Di Landro, successivamente ha detto che «sulle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro evidentemente non può non osservarsi il più stretto riserbo; ma non posso sottacere che taluno ha tenuto un atteggiamento prospettante le più disparate, assurde ipotesi».

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