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Tentò di uccidere un agente di polizia lanciandogli addosso dal terzo piano un maestoso crocifisso in alluminio, dal peso di 900 grammi. Con quest’accusa è stato condannato ieri mattina, in primo grado dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, col giudizio abbreviato, a quattro anni e quattro mesi di reclusione F.A., giovanissimo rom di 16 anni che l’8 ottobre del 2010 si rese protagonista di uno sconcertante episodio delittuoso nel popoloso rione di Ciccarello.
Il minorenne, all’epoca solo 15enne scorazzava per il quartiere periferico reggino a bordo di uno scooter rubato e senza patentino. Il ragazzino, con una sfilza di piccoli reati contro il patrimonio, venne intercettato da una pattuglia delle volanti che lo fermarono per un controllo. Tra gli agenti, anche Bernardo Iaria, operativo presso la Questura di Reggio Calabria. Gli uomini delle forze dell’ordine fermano il giovane rom proprio sotto la sua abitazione, gli controllano il mezzo, gli chiedono i documenti. Il ragazzino si divincola, abbandona il motorino e scappa. Sale su, fino al terzo piano. Lì ha inizio l’immotivata e sconsiderata reazione da parte di F. A. che stacca dalle mura domestiche il crocifisso di quasi un chilo e lo scaraventa in strada. Per un soffio, la croce d’alluminio non colpisce l’appuntato Bernardo Iaria, ma va ad infrangersi sul parabrezza dell’auto di servizio. Subito dopo, il ragazzo si diede alla fuga e si è reso latitante. Inizialmente venne chiesto l’arresto del minore ma il gip negò la misura cautelare ed il suo collocamento in carcere minorile. Il pm Francesca Stilla fece appello avverso alla decisione del giudice ed il magistrato accolse la richiesta di arresto per il reato di tentato omicidio e lo ha collocato presso l’Istituto penitenziale minorile, la misura gli venne poi sostituita con quella più attenuata del collocamento in comunità, dove ad oggi, è ancora collocato in misura cautelare. La sentenza di ieri, sia pur di primo grado (giudice Francesca Di Landro, pm Francesca Stilla che aveva chiesto 6 anni di reclusione), evidenzia la peculiarità dell’intenzione omicida. Un modo particolare di volere attentare alla vita di una persona ha provato a scagionarlo dicendo che un crocifisso non è un’arma idonea all’offesa ed individuando il reato in un fatto più lieve come la resistenza a pubblico ufficiale. Si è discusso a lungo quindi se fosse un tentativo di lesione o resistenza ma poi ha prevalso la tesi della micidialità dell’oggetto lanciato come un’arma bianca. L’ipotesi accusatoria dell’omicidio è stata accolta dal giudice in ragione delle modalità dell’azione e di questi fatti: la tipologia del crocifisso, il suo peso, l’altezza dalla quale è stato scagliato, la scarsa avvistabilità dell’oggetto da parte dell’agente di polizia. Tutti elementi sintomatici della volontà inequivocabile del minore di uccidere l’agente di polizia. Elementi di cui ha tenuto conto il giudice.

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