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CROTONE – L’appello del pentito crotonese Luigi Bonaventura è stato respinto, ma, tutto sommato, le ragioni del suo ricorso contro una decisione del Tar del Lazio sono state sostanzialmente accolte dal Consiglio di Stato che, pur non sospendendo il provvedimento impugnato con cui si disponeva il trasferimento immediato dal cosiddetto sito protetto di Termoli (ormai è un segreto di Pulcinella che il collaboratore di giustizia sia residente qui), afferma l’«ovvia necessità che nella località di destinazione siano disposte adeguate misure per l’effettiva mimetizzazione». Servono effettiva mimetizzazione del collaboratore di giustizia e della sua famiglia, dunque; un concetto alla base della denuncia contenuta nel ricorso di Bonaventura, che da tempo, anche nelle interviste che ha rilasciato al Quotidiano, rileva falle nel sistema di protezione e nella più che mai presunta oasi protetta di Termoli. Quella Termoli in provincia di Campobasso, la città in cui Lea Garofalo, testimone di giustizia di Petilia Policastro, subì un tentativo di rapimento sei mesi prima di scomparire nel nulla e venire uccisa. Quella Termoli divenuta deposito di collaboratori di giustizia ed ex isola felice in un Molise sempre più infiltrato dalla ‘ndrangheta, come dimostra anche l’arresto, avvenuto nel settembre scorso, per traffico di armi di Eugenio Ferrazzo, figlio dell’ex boss di Mesoraca ed ex pentito il cui arsenale era, invece, a 200 metri dall’abitazione di Bonaventura.
«La mimetizzazione non ha funzionato non per la disvelazione della località protetta ma per la corruzione di organi ed apparati della giustizia che si occupano della tutela dei collaboratori», era detto, tra l’altro, nel ricorso predisposto dai legali del pentito crotonese. Per questo Bonaventura affermava di voler accettare il trasferimento soltanto con «minime garanzie». Secondo il difensore di Bonaventura, l’avvocato Giulio Calabretta, il CdS «accoglie in pieno la tesi del collaboratore e della difesa i quali hanno sempre sostenuto che se l’unica via per tutelare Bonaventura e la sua famiglia è il trasferimento in altra località». Ma questo trasferimento deve avvenire «nel rispetto di quelle condizioni necessarie ed imprescindibili che servono per garantire la mimetizzazione».
Sempre secondo l’avvocato Calabretta, «il CdS non esclude il trasferimento anche all’estero e sopratutto riconosce l’assenza di mimetizzazione nell’attuale località ma non per colpa addebitabile a Bonaventura». Insomma, «una decisione importante che apre la strada ad una nuova affermazione di diritto in base alla quale il collaboratore in generale deve essere collocato nel rispetto di quella che il Servizio centrale stesso definisce appunto la mimetizzazione che qualora sia assente, unico responsabile non può che esserne il Ministero». Il legale coglie la palla al balzo per auspicare che «venga data concreta attuazione ai principi indicati nell’ordinanza del CdS» e che «finalmente si possa calare il sipario sulla famiglia Bonaventura mettendo il collaboratore nella condizioni di poter continuare a svolgere l’impegno preso con lo Stato e la magistratura, in totale copertura e assenza di rischi e nell’attesa di un definitivo reinserimento sociale». L’esposizione mediatica? «Forse senza l’aiuto della stampa la vicenda personale di quest’uomo e della sua famiglia avrebbe preso un indirizzo diverso molto più grave e dai risvolti tragici», secondo l’avvocato Calabretta, che, invece, esprime «rammarico per non avere, in questi mesi, mai udito una sola sillaba anche di solidarietà o di impegno da parte di alcune istituzioni e/o parlamentari che erano stati investiti della vicenda e che hanno sempre professato la loro fede per la giustizia e la legalità». Eppure, grazie alle rivelazioni di Bonaventura «non si sarebbero portati a conclusione arresti eccellenti e chiuse vicende giudiziarie con condanne». La parola ora torna al Tar che dovrà pronunciarsi nel merito, anche sul risarcimento dei danni.

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