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REGGIO CALABRIA – «Dopo la lettura della sentenza di primo grado del processo che mi ritiene responsabile condannandomi a quattro anni di reclusione, desidero esprimere profondo disgusto per l’intera vicenda. L’opinione pubblica deve sapere che si è trattato di un processo di mafia ma senza mafioso, forzatamente voluto dalla Procura poiché era il solo modo per poter utilizzare le intercettazioni telefoniche: unica fonte di prova della stessa accusa». Lo afferma, in una dichiarazione, Rosy Canale, la fondatrice dell’associazione antimafia “Movimento donne di San Luca” commentando la sentenza emessa di condanna a suo carico emessa dal Tribunale di Locri.

LEGGI LA SENTENZA DI CONDANNA A 4 ANNI

«Nessun riscontro documentale – prosegue Canale – accertato contro di me: solo parole. La sproporzione che l’intera vicenda contempla lascia fortemente perplessi, se non addirittura sgomenti. A partire dal mio arresto ingiustificato e spettacolare, fino ai 330 giorni di firma in commissariato per giungere ad una squilibrata richiesta di sette anni di reclusione da parte della pubblica accusa. Verrebbe da chiedersi: chi avrei ammazzato? Questo dimostra chiaramente come non ci sia stato da parte dell’ufficio di Procura un reale interesse a giungere alla verità dei fatti nell’interesse della collettività, ma solo un evidente accanimento contro la mia persona. Perché? Forse perché ho difeso i figli di Maria Strangio che seppure portano il cognome Nirta per me non erano e non sono mafiosi. Perché chi tocca i fili muore».

«San Luca è terreno esclusivo, proprietà privata – sostiene ancora Canale – di una certa antimafia che scredita e disintegra chiunque favorisce il recupero ed il cambiamento, perché questo sottrae loro potenziali criminali: quindi loro clienti. Il mio spettacolo lo diceva chiaramente, andava fermato anche per questo. Il lavoro di 5 anni tradotto tutto in un crimine, ma attenzione, senza più minicar ne vestiti di lusso: nessuna prova. Quelli li hanno solo usati per creare lo scandalo iniziale. Vergogna. In qualsiasi altro paese civile di questo pianeta un processo del genere non si sarebbe mai svolto. Pertanto, invece di criminalizzare e giudicare, ognuno dovrebbe riflettere seriamente sulla condizione della giustizia in Italia, e pensare che a questo punto tutti sono soggetti a rischio: ognuno potrebbe facilmente trovarsi al mio posto. Arrestata ed assassinata civilmente senza prove. Naturalmente – ha concluso Canale – con il mio avvocato ci appelleremo certi della mia buona fede e dichiarata innocenza».

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