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SMOBILITA, ma non proprio subito. Eletto consigliere regionale, Vito Satarsiero lascerà lo studio di piazza Matteotti non prima di fine gennaio. E nel frattempo chiude, ordina e prova a riordinare un’esperienza durata quasi dieci anni.

A casa, da sempre, accatasta carte e volumi, legge e rilegge. Nello studio del Municipio prende appunti, sempre, e disegna sui cartoncini per seguire i fili del discorso ogni volta che tocca temi importanti. Con le stilografiche da inchiostro verde o azzurro.

Era il 2004, era tanti anni fa. «Sono arrivato qui con l’idea di una città che si proponeva a un suo cittadino. Ma ho subito dovuto ammettere che tutta l’esperienza politica precedente, anche da amministratore (è stato presidente della Provincia fino al 2004, ndr) non mi aveva dato una reale idea dei problemi e delle potenzialità della città».

Non aveva capito quanto grave fosse la situazione economica del Comune. «In realtà forse non lo sapeva bene nessuno. Arrivavano segnalazioni di debiti da ogni parte. Due mesi dopo ho chiesto una ricognizione dello stato economico dell’ente. Lo ricordo ancora, il direttore generale venne nella stanza: “Un mare di debiti”». Con 4 miliardi e mezzo di lire pignorati. «Ma ci siamo dovuti rimboccare le maniche in tanti e avviare il risanamento». Sa che la vicenda del debito è detta e ripetuta. «Ma questo è».

Sfoglia, legge, risponde al telefono. Tra poco a viale Verrastro, che mette via? «Mica si può fare la lista». Così prova a spiegare che, al di là del giudizio sull’attività di un amministratore, c’è qualcosa che vale per tutti i sindaci. «È un ruolo che ti cambia, che ti cambia umanamente». Per la fila di persone in attesa, per i casi umani, per i drammi che neanche immagini. «È che il sindaco è ancora percepito come un terminale, come una possibilità». Salvo restare impotenti davanti a soluzioni che non ci sono. «È questo ch ti cambia, che modifica scale di priorità, modo di pensare alle cose». Una volta un ragazzo si diede fuoco in piazza Matteotti. «Me lo ricordo , sì..».

Negli ultimi tre anni «la vita degli amministratori è cambiata: lo Stato ha annullato i trasferimenti ai Comuni, ha introdotto norme come il patto di stabilità. Non siamo più in grado di rispondere alla quotidianità delle comunità. Se fai il sindaco di una città piccola o di medie dimensioni difficilmente potrai fare una passeggiata in centro senza fermate intermedie. «È parte del ruolo, ascoltare i cittadini è un diritto oltre che un dovere. È solo che all’inizio non immagini quali drammi ti verrano incontro. Ecco, il senso di impotenza. È quello che ti cambia».

Consenso calato, il suo, molti punti sotto la percentuale bulgara del primo mandato. «Ma devo dire che il risultato ottenuto alle regionali (il più votato in città, ndr) mi ha confermato che alla fine la città comprende il lavoro fatto, capisce lo sforzo. Credo abbiamo pagato la vicenda rifiuti e quella trasporto».

Delle cose di cui è orgoglioso dice spesso, il risanamento, la politica per le case, la galleria civica, le grandi mostre. E il regolamento urbanistico. Erano nel pieno delle attività, a poco dal voto, quando Anna, sua moglie,  se ne è andata via. «Era così complicato quel periodo». Il dolore arrivato dopo la malattia vissuta tra una corsa in Comune, i viaggi a Roma, le buche, i bilanci, la gente che chiede, «giustamente».

«Nove anni ti cambiano normalmente, figurarsi da sindaco, in questo momento sociale». Richieste di raccomandazioni? «Infinite». Fatte? «Al massimo sollecitazioni per risolvere qualche situazione grave, di disagio estremo. E neanche ci sono riuscito».

Da sindaco vedi le cose diverse. Nel Comitato delle Regioni e in Anci, «che stagione straordinaria. Ma ho imparato che nel Paese abbiamo una scarsa cultura civica, a volte parte proprio dai rappresentanti istituzionali». La sua, dice, sta un po’ anche nel senso di identità collettiva. «Sono orgoglioso di quanto fatto per il Bicentenario, credo qualcosa sia rimasto». Lo sa che lo prendono un po’ in giro per i regali istituzionali: sempre libri, al massimo il medagliere. «Lo faccio con orgoglio: è un onore regalare qualcosa che racconta un pezzo di storia di questa città». 

s.lorusso@luedi.it

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