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di LEO AMATO
POTENZA – A un certo punto ha tirato fuori persino un fascicoletto di 9 pagine intitolato “Allegato 3: inesattezze, falsità, interpretazioni forzate e commenti fuorvianti nelle indagini e nella richiesta di rinvio a giudizio”. Così alla fine il pm, che è rimasto in silenzio per tutto il tempo, mentre il gup stava già assegnando la data della prossima udienza di qui a un paio di settimane, ha chiamato un time out, chiedendo un rinvio un po’ più lungo per approfondire quanto emerso.
Fosse un incontro di pugilato l’udienza del processo sullo scandalo Arpab-Fenice-Pallareta che si è svolta ieri mattina è andata ai punti all’ex dg dell’Agenzia regionale per l’ambiente Vincenzo Sigillito. Doveva essere il giorno del suo interrogatorio e così è stato, con l’avvocato Tuccino Pace nel ruolo della guida che ha accompagnato l’uomo nero del più importante processo in materia di ambiente e pubblica amministrazione che si ricordi in Basilicata lungo l’impervio sentiero descritto nelle informative dei carabinieri del reparto operativo di Potenza. Sigillito, da par suo, ha scansato gli ostacoli più impegnativi lungo la via e quando è arrivato il momento di piazzare un allungo non si è fatto trovare impreparato difendendo i suoi e attaccando la procura accusata di emettere giudizi politici. 
Tipico il caso di uno degli interinali assunti dall’Agenzia, attraverso la Tempor, che era stato messo in ferie per fare da autista al suo amico nonché consigliere regionale e all’epoca assessore regionale all’ambiente Erminio Restaino. Restaino si sarebbe dimesso proprio a seguito di questa inchiesta, che lo vede imputato del reato – di per sé originale – di concorso esterno in un’associazione a delinquere che avrebbe avuto come scopo tra l’altro quello di procacciargli consenso attraverso le assunzioni di amici e parenti di amici. E Sigillito ha negato di essere stato a conoscenza della fede restainiana del lavoratore in questione prima della sua assunzione. 
L’ex dg non è stato tenero con i responsabili della sede materana che prima del suo arrivo avevano tenuto in un cassetto i dati sulla contaminazione della falda sotto il termovalorizzatore Fenice, e ha deposito nel fascicolo del gup anche la relazione appena conclusa della commissione d’inchiesta sul caso istituita dal consiglio regionale evidenziando quanto affermato a proposito dell’assenza di un reale incremento di patologie nella zona legate all’inquinamento.
A proposito della conversazione intercettata nel suo ufficio con il gestore della discarica di Venosa, a quel tempo anche socio di Fenice spa e considerato il trait d’union con la ditta proprietaria del termovalorizzatore, Sigillito ha spiegato di essersi rivolto a lui in qualità di esperto di problematiche ambientali. In più ha negato di avergli fornito notizie riservate sull’inchiesta della procura di Melfi sull’inquinamento provocato dell’impianto. Rispetto invece all’inerzia che gli viene contestata per non aver chiuso i forni dell’inceneritore di fronte all’evidenza di quanto stava accadendo si è aggrappato alle decisioni del Tar Basilicata che hanno annullato la sospensiva dell’autorizzazione decisa dalla Provincia dopo l’esplosione del caso. Ma non solo. 
L’ex dg ha infatti riferito di aver informato della situazione seppure in maniera informale già dal 2008 il governatore Vito De Filippo e l’allora assessore Vincenzo Santochirico. L’uomo nero dello scandalo sembra essersi stancato di fare il capro espiatorio.
    

A un certo punto ha tirato fuori persino un fascicoletto di 9 pagine intitolato “Allegato 3: inesattezze, falsità, interpretazioni forzate e commenti fuorvianti nelle indagini e nella richiesta di rinvio a giudizio”. 

Così alla fine il pm, che è rimasto in silenzio per tutto il tempo, mentre il gup stava già assegnando la data della prossima udienza di qui a un paio di settimane, ha chiamato un time out, chiedendo un rinvio un po’ più lungo per approfondire quanto emerso.Fosse un incontro di pugilato l’udienza del processo sullo scandalo Arpab-Fenice-Pallareta che si è svolta ieri mattina è andata ai punti all’ex dg dell’Agenzia regionale per l’ambiente Vincenzo Sigillito. 

Doveva essere il giorno del suo interrogatorio e così è stato, con l’avvocato Tuccino Pace nel ruolo della guida che ha accompagnato l’uomo nero del più importante processo in materia di ambiente e pubblica amministrazione che si ricordi in Basilicata lungo l’impervio sentiero descritto nelle informative dei carabinieri del reparto operativo di Potenza. Sigillito, da par suo, ha scansato gli ostacoli più impegnativi lungo la via e quando è arrivato il momento di piazzare un allungo non si è fatto trovare impreparato difendendo i suoi e attaccando la procura accusata di emettere giudizi politici. 

Tipico il caso di uno degli interinali assunti dall’Agenzia, attraverso la Tempor, che era stato messo in ferie per fare da autista al suo amico nonché consigliere regionale e all’epoca assessore regionale all’ambiente Erminio Restaino. Restaino si sarebbe dimesso proprio a seguito di questa inchiesta, che lo vede imputato del reato – di per sé originale – di concorso esterno in un’associazione a delinquere che avrebbe avuto come scopo tra l’altro quello di procacciargli consenso attraverso le assunzioni di amici e parenti di amici. 

E Sigillito ha negato di essere stato a conoscenza della fede restainiana del lavoratore in questione prima della sua assunzione. L’ex dg non è stato tenero con i responsabili della sede materana che prima del suo arrivo avevano tenuto in un cassetto i dati sulla contaminazione della falda sotto il termovalorizzatore Fenice, e ha deposito nel fascicolo del gup anche la relazione appena conclusa della commissione d’inchiesta sul caso istituita dal consiglio regionale evidenziando quanto affermato a proposito dell’assenza di un reale incremento di patologie nella zona legate all’inquinamento.

A proposito della conversazione intercettata nel suo ufficio con il gestore della discarica di Venosa, a quel tempo anche socio di Fenice spa e considerato il trait d’union con la ditta proprietaria del termovalorizzatore, Sigillito ha spiegato di essersi rivolto a lui in qualità di esperto di problematiche ambientali. In più ha negato di avergli fornito notizie riservate sull’inchiesta della procura di Melfi sull’inquinamento provocato dell’impianto. Rispetto invece all’inerzia che gli viene contestata per non aver chiuso i forni dell’inceneritore di fronte all’evidenza di quanto stava accadendo si è aggrappato alle decisioni del Tar Basilicata che hanno annullato la sospensiva dell’autorizzazione decisa dalla Provincia dopo l’esplosione del caso. 

Ma non solo. L’ex dg ha infatti riferito di aver informato della situazione seppure in maniera informale già dal 2008 il governatore Vito De Filippo e l’allora assessore Vincenzo Santochirico. L’uomo nero dello scandalo sembra essersi stancato di fare il capro espiatorio.    

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