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LA Polizia di Stato di Milano ha arrestato 33 persone per il reato di associazione mafiosa, riciclaggio, usura, estorsione, corruzione, esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di beni e società; reati in gran parte aggravati dall’utilizzo del metodo intimidatorio tipicamente mafioso e dalla finalità d’agevolare l’attività dell’associazione mafiosa. 

Le indagini hanno evidenziato che il sodalizio, assumendo anche la reggenza della “locale” di ‘ndrangheta di Desio (espressione della famiglia calabrese in Brianza) ha approntato e gestito a Seveso (MB) una vera e propria “banca clandestina” attraverso cui sono stati commessi i reati, anche grazie a un’ampia rete di società di copertura e alla collusione di dipendenti postali e bancari e di imprenditori.

Praticando l’usura ed il riciclaggio di flussi di denaro di provenienza delittuosa, l’organizzazione, oltre ad esportare capitali in Svizzera ed a San Marino, li ha reimpiegati acquisendo il controllo di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, dei trasporti, della nautica, delle energie rinnovabili, del commercio, della ristorazione, e degli appalti e lavori pubblici.

Secondo quanto scrive il giudice nella sua ordinanza d’arresto, Giuseppe Pensabene, il presunto capo del clan, era “una sorta di “Banca di Italia”. Sono le parole di uno degli arrestati che così descrive in un’intercettazione Pensabene.
 
IL SOSTEGNO ALL’EX ASSESSORE REGIONALE – Spunta il nome dell’ex assessore regionale lombardo Massimo Ponzoni nell’ordinanza di custodia cautelare che coinvolge, complessivamente, 40 persone. Sarebbe stato appoggiato da uno degli arrestati nella sua carriera politica. A farne cenno è il presunto capo del clan smantellato, Giuseppe Pensabene, parlando col suo collaboratore Tino Scardina il 7 aprile 2010. I due discutono del ruolo di un altro degli arrestati oggi, Domenico Zema, già assessore all’Urbanistica in quota a Forza Italia nel comune di Cesano Maderno e poi imprenditore edile. 
Parlando di Zema, «una persona importante qua in zona a livello politico», poi “bruciato” da un’inchiesta giudiziaria, Pensabene dice: «Insomma l’hanno bruciato…perchè tu dalla politica te ne devi uscire altrimenti…poi ha portato una persona lui al vertice…che oggi è al vertice qua che si chiama…questo qua è il braccio destro di Formigoni…come c…si chiama che adesso mi sono dimenticato…Ponzoni, Ponzoni…lo ha appoggiato forte Zema tutte le amicizie sue, i voti suoi, glieli ha dati tutti questo Ponzoni. Poi hanno litigato e…». Ponzoni è stato poi arrestato nel gennaio del 2012 nell’ambito del crac della società Pellicano con l’accusa di bancarotta.
 
USURA NEL MONDO DEL CALCIO –  Ci sono anche il vice presidente esecutivo del Genoa Antonio Rosati, e il dg della Spal Giambortolo Pozzi tra gli imprenditori finiti nella morsa dell’organizzazione della ‘ndrangheta smantellata. Lo hanno precisato in conferenza stampa in Questura a Milano. Fanno parte di una lunga lista di imprenditori diventati vittime. Anche Giuseppe De Marinis, uno dei responsabili della società Mexoil e che è stato in passato presidente della squadra di calcio Nocerina, avrebbe subito un violento pestaggio per un debito usurario da parte degli uomini del clan della ‘ndrangheta di Desio.
 

LA RICOSTRUZIONE DELLA BOCCASSINI. La banca clandestina gestiva centinaia di milioni di euro a spiegarlo è il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, a capo della Dda di Milano. «L’organizzazione di Pensabene era capillare, e riusciva a movimentare centinaia di milioni di euro», ha detto la Boccassini. «In una crisi come quella che sta attraversando il nostro Paese, e il resto del mondo, le organizzazioni criminali mettono il loro potenziale militare e i loro capitali a disposizione di una classe imprenditoriale con il pelo sullo stomaco». Al vertice della cosca di Desio c’era Giuseppe Pensabene, nato a Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Pensabene, che era stato affiliato alla cosa degli Imerti – protagonista della “seconda guerra di ‘ndrina” combattuta negli anni ’80 in Calabria, a fianco delle famiglie Condello, Serraino, e Rosmini – si trasferisce in Lombardia in quello stesso periodo. In Brianza, Pensabene sviluppa contatti con il locale di Desio, fino a diventarne il leader dopo l’operazione “Infinito”, che nel 2010 falcidiò le cosche calabresi in Lombardia. Nel 2010 viene solo toccato dall’inchiesta, con il sequestro di beni per 10 milioni di euro, ma evita il carcere. «Pensabene non costituisce un ‘locale’ classico, anche se la violenza veniva comunque esercitata per intimidire, ma un gruppo dedito alle operazioni finanziarie» ha spiegato il sostituto procuratore Giuseppe D’Amico. E’ così, racconta ancora D’Amico, che prospera la banca clandestina di Seveso, localizzata all’inizio in un locale così misero da essere soprannominato “il tugurio”. 

 
LE OPERAZIONI DELLA BANCA DELLA ‘NDRANGHETA. La banca della ‘ndrangheta effettua principalmente tre tipi di operazioni, tutte rivolte all’imprenditoria brianzola: usura in senso classico, con tassi fino al 20% che hanno mandato sul lastrico diversi imprenditori, costretti poi a cedere le proprie attività; erogazione di credito a imprese ‘amichè completamente controllate dagli stessi ‘ndranghetisti, ma soprattutto la cosiddetta “compravendita di denaro”. Pensabene e soci aiutavano infatti le imprese del tessuto lombardo a creare fondi neri attraverso l’erogazione di denaro, gli imprenditori li ripagavano con assegni e trasferimenti con un 5% di provvigione, una somma comunque inferiore a quella che avrebbero dovuto pagare in tasse allo Stato se avessero dichiarato i patrimoni alle autorità fiscali. «Dobbiamo essere come i polipi, mettere i tentacoli dappertutto, perchè con questa crisi ci cono le condizioni per poterlo fare» dice Pensabene in un’intercettazione. «Ci vuole la Banca d’Italia? Qui ogni giorno transitano 30-40-50mila euro» dice uno dei suoi soci. Contro gli imprenditori incapaci di pagare i prestiti usurari in tempo si esercitava una violenza selvaggia, tanto che nessuno di loro ha mai denunciato le angherie subite, ma Pensabene e soci guardavano soprattutto alla finanza, ed è qui che entra in gioco Emanuele Sangiovanni, il broker del gruppo. L’uomo, che controllava una serie di società svizzere con capitale britannico, si mette a disposizione di Pensabene per scudare i capitali illeciti, e diventa un vero e proprio ‘golden boy’ protetto dal boss. «Questo sistema criminale finanziario sarebbe impossibile senza l’appoggio di ambienti che non appartengono all’organizzazione, in particolar modo imprenditori e funzionari pubblici» ha detto il capo della Squadra Mobile di Milano Alessandro Giuliano. Oltre agli imprenditori, infatti, tra gli arrestati ci sono il direttore e il vicedirettore dell’ufficio postale di Paderno Dugnano, di fatto a disposizione degli interessi della cosca: «Pensabene preferiva utilizzare le Poste, dove mandava i suoi scagnozzi a ritirare anche 100-200mila euro al giorno – ha spiegato ancora d’Amico – e dove i dirigenti conniventi non segnalavano niente all’antiriciclaggio. Bisogna intervenire a livello legislativo, perchè le Poste sono ormai una vera e propria finanziaria».
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