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Il boss Francesco Grande Aracri? Per il sindaco di Brescello è una «persona educata». E mentre infuria la bufera istituzionale nel paese dell’Emilia reso celebre dai racconti su Peppone e don Camillo inventati da Guareschi, la Direzione investigativa antimafia di Firenze e di Bologna, con l’aiuto dei carabinieri di Reggio Emilia, ha messo a segno un’operazione contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta al Centro Nord. 

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Nel mirino, proprio gli affari di presunti affiliati della cosca Grande Aracri in Emilia Romagna e in Umbria. Gli inquirenti hanno effettuato un sequestro di beni riconducibili a imprenditori edili calabresi, da anni operanti nella pianura padana. I patrimoni sequestrati si trovano proprio in provincia di Reggio Emilia, oltre che in provincia di Perugia e nel Crotonese, la terra d’origine della famiglia Grande Aracri, che ha la sua base a Cutro dove viene segnalata attiva soprattutto nel settore delle estorsioni.

Il sequestro, del valore di circa 5 milioni di euro, è stato disposto in via d’urgenza dal presidente del Tribunale di Reggio Emilia, su richiesta del direttore della Dia Arturo De Felice, dopo che gli investigatori del Centro Operativo di Firenze avevano rilevato, da parte di familiari di uno dei fratelli Sarcone, ripetuti tentativi di sottrarre al sequestro ingenti somme di denaro.

Tra i beni posti ai sigilli, circa 40 immobili (terreni e fabbricati) numerosi autoveicoli, intestati a persone fisiche e giuridiche, quote societarie e consistenti disponibilità finanziarie, evidentemente sproporzionate rispetto all’attività lecita svolta. 

«L’operazione – ha precisato la Dia – si colloca nell’ambito di un procedimento di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali avviato a seguito di una richiesta formulata dal Direttore della Dia all’esito di una accurata analisi delle infiltrazioni della criminalità organizzata di origine calabrese nei settori imprenditoriali dell’Emilia Romagna». Da qui sono partite le indagini sulla posizione dei quattro fratelli, uno dei quali già condannato, con sentenza di primo grado emessa nel 2013, ad una pena di otto anni ed otto mesi per il delitto di associazione di tipo mafioso, essendo stato accertato il suo ruolo di vertice nella cosca Grande Aracri.

 

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