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COSA dovrebbe fare, ora, lo Stato?
Tenere fuori per sempre la Basilicata dalla possibilità che diventi sito unico di stoccaggio dei rifiuti nucleari?
E come potranno gli altri siti individuati a livello nazionale dalla Sogin accettare di diventarlo, visto il precedente «no» di Scanzano? Sono solo domande.
Ma ora, chi prima era a capo del popolo, ora è a capo dello Stato, e mi piacerebbe tanto sapere cosa significano in questo frangente parole-chiave come «governare i processi» e «accompagnare i territori nelle fasi difficili».
Figli e figliastri, in Italia? Dodici anni dopo, lo Stato sovrano cosa dovrebbe fare?
Farsi dire altri «no» da tutti gli altri territori, giustamente spaventati dallo spettro nucleare, e confortati storicamente dalla vittoria del «popolo di Scanzano»?
Oppure ristabilire la sua autorità e imporre Scanzano come sito unico, riscattando il braccio di ferro perso contro il popolo lucano?
Sono solo domande, per carità.
Ma viene il dubbio – è solo un dubbio, tranquilli – che lo Stato non abbia altra scelta, se non vuole impantanarsi nel Vietnam italiano del «non nel mio giardino»: riprovare con la Basilicata, e far sentire fino in fondo la propria autorità.
Sempre che, chi prima era a capo del popolo e ora è a capo dello Stato, non riesca a stabilire «scientificamente» i motivi per cui la Basilicata non debba essere toccata da questa difficile scelta, oppure a «raccomandare» la propria terra.
Ne dubito, francamente.
Insomma, in Basilicata siamo tutti diventati riformisti, «istituzionalisti», governativi e responsabili (o no?).
Bene, se le cose stanno così, lo Stato non potrà che scegliere la Basilicata come sito unico. Sempre che la cosiddetta serietà «istituzionalista» non sia una maschera sofisticata del populismo. In tal caso, i nodi di questa sofisticata ambiguità arriveranno presto al pettine.

 

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