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HA il passo incerto – «barcollo un poco», dice – ma lo sguardo deciso. Un po’ arrabbiato in alcuni momenti, ma certamente non rassegnato. Anna (ci ha chiesto di non fare il suo nome e quindi useremo un nome di fantasia) ha 54 anni e un tumore. «Mi hanno operato nel novembre scorso – spiega – e ora sto facendo i cicli di chemioterapia che sono previsti dopo l’intervento». 
Sono cinque cicli, a cui seguiranno tante altre terapie per scongiurare il ritorno del cancro. Solo che ognuna di queste cure, ogni seduta di chemioterapia, è come una piccola bomba: il corpo si debilita completamente, si sta molto male. Impossibile pensare di poter uscire sulle proprie gambe, così come è necessario avere – nei giorni successivi – una persona costantemente accanto. Ecco perchè lo Stato ha previsto che ai malati oncologici debbano essere estesi i benefici previsti dalla legge 104 del 1992. Tra questi c’è la possibilità di poter essere assistiti da un familiare. E se quel familiare lavora, la legge consente che ad esso vengano riconosciuti dei permessi speciali. 
Così Anna – a cui lo Stato ha riconosciuto un’invalidità del 100% dopo l’intervento necessario ad asportare il tumore al seno – presenta domanda all’Inps perchè questo diritto venga riconosciuto al marito. 
«E l’Inps, dopo tutta la documentazione presentata – spiega Anna – ha riconosciuto subito a mio marito questo diritto. Questo significa che può usufruire di tre giorni di permesso retribuito quando io, per esempio, devo fare la chemioterapia. Così può accompagnarmi e assistermi nei giorni successivi».
Certo, non bastano tre giorni per superare gli effetti di una seduta di chemio, ma sarebbe già tanto ora poter avere la certezza di potervi contare sempre. E invece non è così. 
Il marito di Anna, infatti, lavora in una società privata che gestisce un servizio pubblico per conto del Comune di Potenza. «Dovevo sottopormi – racconta – a un controllo ematico molto importante. E per questo mio marito aveva presentato una regolare richiesta di permesso per quella giornata. Lo aveva fatto con quattro giorni di anticipo. Nonostante ciò nel giorno del mio controllo lui viene messo di turno e io sono costretta, così, a non poter effettuare un esame che per me è fondamentale. E non era la prima volta. Qualche mese fa io sono stata molto male e sono stata costretta a rivolgermi a un oncologo che sta a Napoli. Per accompagnarmi allora mio marito ha chiesto un giorno di ferie che gli è stato rifiutato. In quell’occasione, però, il mio stato era così grave che lui ha deciso comunque di accompagnarmi, vedendosi poi decurtati tre giorni dallo stipendio. Vi sembra possibile che io, nelle mie condizioni, debba anche vivere con la paura che a mio marito non concedano il permesso? Posso mai stare con l’incubo che proprio nel giorno in cui lui deve accompagnarmi a fare la chemioterapia si decida di metterlo di turno?».
E siccome il tumore non ha certamente fiaccato la volontà di questa donna, appena è riuscita a rimettersi in piedi ha deciso di recarsi direttamente lei dal responsabile dell’ufficio preposto. 
«Sono andata – dice – solo per ribadire che quei permessi sono un diritto, una necessità. E davanti a lui mi sono tolta il cappello per fargli vedere quelli che sono gli effetti della chemioterapia. Lui mi ha risposto che questo è un mio problema, l’unica cosa che a lui deve interessare è come coprire il turno. Allora io mi chiedo come avrebbe fatto se quella mattina fosse arrivato da mio marito un certificato di malattia: non sarebbe riuscito a coprire il turno?».
Anna è costretta a sottoporsi a una seduta di chemioterapia ogni 21 giorni. E la sua paura è ora che ogni volta verrà creato un ostacolo, ogni volta quel suo diritto verrà calpestato. E non ci sta: «perché l’Inps paga per questo. Quando ho presentato la pratica è stata accolta senza difficoltà. E allora perchè le difficoltà ora me le devono creare così, volta per volta? Io credo che nelle mie condizioni questo ulteriore problema possa essere evitato».
Anna ovviamente presenterà tutte le denunce del caso agli organi preposti. Che sicuramente le daranno ragione. 
Resta però l’amarezza per questa assoluta assenza di umanità che costringe una donna già fortemente provata a denunciare l’ennesimo diritto violato. Non è più una malattia rara il cancro. Ognuno di noi ha accanto a sè un parente o un amico che deve lottare ogni giorno. E ognuno di noi sa quanto quella lotta contro il male spesso sia impari. E’ necessario aggiungere a questo altra sofferenza? Chi decide di farlo ha evidentemente smarrito per strada l’umanità. 
Antonella Giacummo
a.giacummo@luedi.it

HA il passo incerto – «barcollo un poco», dice – ma lo sguardo deciso. Un po’ arrabbiato in alcuni momenti, ma certamente non rassegnato. Anna (ci ha chiesto di non fare il suo nome e quindi useremo un nome di fantasia) ha 54 anni e un tumore. 

 

«Mi hanno operato nel novembre scorso – spiega – e ora sto facendo i cicli di chemioterapia che sono previsti dopo l’intervento». Sono cinque cicli, a cui seguiranno tante altre terapie per scongiurare il ritorno del cancro. Solo che ognuna di queste cure, ogni seduta di chemioterapia, è come una piccola bomba: il corpo si debilita completamente, si sta molto male. Impossibile pensare di poter uscire sulle proprie gambe, così come è necessario avere – nei giorni successivi – una persona costantemente accanto. Ecco perchè lo Stato ha previsto che ai malati oncologici debbano essere estesi i benefici previsti dalla legge 104 del 1992. Tra questi c’è la possibilità di poter essere assistiti da un familiare. E se quel familiare lavora, la legge consente che ad esso vengano riconosciuti dei permessi speciali. Così Anna – a cui lo Stato ha riconosciuto un’invalidità del 100% dopo l’intervento necessario ad asportare il tumore al seno – presenta domanda all’Inps perchè questo diritto venga riconosciuto al marito. 

«E l’Inps, dopo tutta la documentazione presentata – spiega Anna – ha riconosciuto subito a mio marito questo diritto. Questo significa che può usufruire di tre giorni di permesso retribuito quando io, per esempio, devo fare la chemioterapia. Così può accompagnarmi e assistermi nei giorni successivi».

Certo, non bastano tre giorni per superare gli effetti di una seduta di chemio, ma sarebbe già tanto ora poter avere la certezza di potervi contare sempre. E invece non è così. Il marito di Anna, infatti, lavora in una società privata che gestisce un servizio pubblico per conto del Comune di Potenza. 

«Dovevo sottopormi – racconta – a un controllo ematico molto importante. E per questo mio marito aveva presentato una regolare richiesta di permesso per quella giornata. Lo aveva fatto con quattro giorni di anticipo. Nonostante ciò nel giorno del mio controllo lui viene messo di turno e io sono costretta, così, a non poter effettuare un esame che per me è fondamentale. E non era la prima volta. Qualche mese fa io sono stata molto male e sono stata costretta a rivolgermi a un oncologo che sta a Napoli. Per accompagnarmi allora mio marito ha chiesto un giorno di ferie che gli è stato rifiutato. In quell’occasione, però, il mio stato era così grave che lui ha deciso comunque di accompagnarmi, vedendosi poi decurtati tre giorni dallo stipendio. Vi sembra possibile che io, nelle mie condizioni, debba anche vivere con la paura che a mio marito non concedano il permesso? Posso mai stare con l’incubo che proprio nel giorno in cui lui deve accompagnarmi a fare la chemioterapia si decida di metterlo di turno?».

E siccome il tumore non ha certamente fiaccato la volontà di questa donna, appena è riuscita a rimettersi in piedi ha deciso di recarsi direttamente lei dal responsabile dell’ufficio preposto. 

«Sono andata – dice – solo per ribadire che quei permessi sono un diritto, una necessità. E davanti a lui mi sono tolta il cappello per fargli vedere quelli che sono gli effetti della chemioterapia. Lui mi ha risposto che questo è un mio problema, l’unica cosa che a lui deve interessare è come coprire il turno. Allora io mi chiedo come avrebbe fatto se quella mattina fosse arrivato da mio marito un certificato di malattia: non sarebbe riuscito a coprire il turno?».

Anna è costretta a sottoporsi a una seduta di chemioterapia ogni 21 giorni. E la sua paura è ora che ogni volta verrà creato un ostacolo, ogni volta quel suo diritto verrà calpestato. E non ci sta: «perché l’Inps paga per questo. Quando ho presentato la pratica è stata accolta senza difficoltà. E allora perchè le difficoltà ora me le devono creare così, volta per volta? Io credo che nelle mie condizioni questo ulteriore problema possa essere evitato».

Anna ovviamente presenterà tutte le denunce del caso agli organi preposti. Che sicuramente le daranno ragione. Resta però l’amarezza per questa assoluta assenza di umanità che costringe una donna già fortemente provata a denunciare l’ennesimo diritto violato. Non è più una malattia rara il cancro. 

Ognuno di noi ha accanto a sè un parente o un amico che deve lottare ogni giorno. E ognuno di noi sa quanto quella lotta contro il male spesso sia impari. E’ necessario aggiungere a questo altra sofferenza? Chi decide di farlo ha evidentemente smarrito per strada l’umanità. 

 

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